Dubbi su chi ha usato il gas sarin in Siria ma, in caso di conflitto, si cominciano a delineare le alleanze
Uno dei temi al centro dei vari vertici che si sono tenuti a Roma la settimana scorsa è la Siria, dove di guerre ce ne sono più di una. Non c’è solo quella tra il regime e i suoi sostenitori e gl’insorti, c’è anche quella diplomatica tra Russia e Usa, e c’è anche quella più vasta, più complessa e più insidiosa che vede da una parte Iran-Siria-Hezbollah libanese con la Russia in sottofondo e dall’altra Turchia-Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti-Giordania più Israele, con gli Usa in sottofondo.
Proviamo a dipanare il bandolo di una matassa che col passare del tempo si è fatta più nodosa, fino ad arrivare ad un vicolo cieco per tutti.
Obama aveva detto che oltrepassare la linea rossa avrebbe comportato l’intervento militare in Siria. Qual è la linea rossa? L’uso delle armi chimiche. Ebbene, ultimamente si è scoperto che molte vittime rivelano tracce evidenti di sarin, ma la domanda è subito stata: chi lo ha usato? Il regime accusa gl’insorti, questi ultimi il regime, secondo un copione già noto. Gli Usa hanno dichiarato che le prove, per ora, sono troppo deboli per emettere una sentenza, ma Carla Dal Ponte, ex pm in Ticino ed ex procuratore internazionale per la Iugoslavia e attualmente membro di un’importante commissione Onu, ha attribuito l’uso del gas sarin agli insorti. Ne è venuta fuori una polemica tra gli Usa che hanno detto che “le prove non sono conclusive” e la stessa Dal Ponte che ha ribattuto che gli elementi raccolti sono a carico degli insorti. La “guerra del sarin”, se così possiamo chiamarla, ha mostrato tutta la debolezza della diplomazia americana che ha soffiato due anni e mezzo fa sulla protesta in Siria senza accorgersi che stava appiccando il fuoco ad una polveriera, perché se le esigenze di maggiori diritti, benessere e libertà era sacrosante in Siria, bisognava anche prevedere – come è avvenuto altrove, in modo particolare in Libia e in Egitto – che caricare la crisi di aspettative, avrebbe portato alla presa del potere da parte degli islamisti più radicali.
Ora, dunque, l’alibi dell’intervento è sfuggito di mano agli Usa e a tutti coloro che, come la Francia e la Gran Bretagna, volevano risolvere la questione siriana militarmente, anche perché sta emergendo un rischio che non si può correre a cuor leggero. E cioè che alla fine di tutto il caos siriano a prevalere sarebbero appunto gli elementi più estremisti. Insomma, dalla padella alla brace.
Se abbiamo descritto bene la “guerra del sarin”, ne consegue che le vie che si possono tentare per dare una svolta alla crisi siriana sono due: la prima, più morbida, diplomatica, probabilmente destinata a non portare a nulla, la seconda, più complessa, è quella che vede delinearsi le alleanze strategico-militari nel caso in cui la via diplomatica fallisse.
Parliamo prima della via diplomatica, che non è altro che il tentativo degli Usa di coinvolgere la Russia – alleata della Siria – in uno sblocco della crisi facendo incontrare rappresentanti del regime e rappresentanti degli insorti per una transizione “democratica” in Siria. Kerry e Lavrov si sono incontrati a Mosca ed hanno tirato fuori una conferenza internazionale sulla Siria da tenersi alla fine di maggio. La Russia ha accettato e tenterà di convincere Assad a mandare una delegazione, gli Usa convinceranno gli insorti a fare altrettanto. Quali possano essere le speranze di passi concreti nella direzione della pacificazione è difficile dire, è facile, però, prevedere che le distanze saranno incolmabili, perché gl’insorti vogliono una condizione: via Assad dalla Siria, mentre Assad vuole la resa degli insorti. Anche se speriamo nel contrario, probabilmente la conferenza sarà un fallimento.
E siamo arrivati alla mappa delle alleanze in caso di conflitto. Qui, come nelle famose scatole cinesi, vediamo i sunniti (Arabia Sudita, Emirati Arabi Uniti) con la Turchia e la Giordania contro gli sciiti (Iran, Hezbollah libanese e Siria. Israele, che gioca la sua parte di Stato che deve guardarsi dai suoi più diretti nemici (Iran), potrebbe essere la miccia di un conflitto, se farà un blitz (probabile) per distruggere i siti atomici iraniani. Russia e Usa manterrebbero un ruolo da “esterni”, fornendo armi ciascuno allo schieramento di riferimento e garantendo la “regionalizzazione” dell’eventuale conflitto, fin dove possibile.
E dire che tutta questa fosca prospettiva si sarebbe potuta evitare, se solo fosse stato seguito il principio della non ingerenza nei fatti degli altri, soprattutto dopo l’impresa disastrosa in Iraq.