Va di moda la ripresa di vecchi processi, sia quelli che si sono conclusi senza nessun colpevole (come il delitto di via Poma a Roma), sia quelli che un colpevole l’hanno trovato una volta per tutte con una sentenza passata in giudicato, come il delitto Pasolini. Il delitto di via Poma, ripreso recentemente con un’accusa precisa all’ex fidanzato, dopo che questi fu scarcerato pochi giorni dopo l’arresto, è tuttora in corso, mentre quello per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini non solo è terminato da gran tempo, ma ha anche un colpevole certo, riconosciuto tale dalla sentenza e reo confesso, che tra l’altro ha finito di scontare la sua pena, 9 anni e 7 mesi. Il processo Pasolini fa parte del passato, ma c’è chi vuole riaprirlo, perché non è convinto che Pino Pelosi, a quel tempo diciassettenne, sia l’unico colpevole.
Riepiloghiamo i fatti. Alle sei e mezzo della mattina del due novembre del 1975 il corpo del regista e poeta fu trovato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, massacrato a bastonate e travolto dalla sua stessa auto. Poche ore dopo la scoperta del cadavere, Pino Pelosi fu fermato alla guida dell’Alfa Romeo dello scrittore. Messo alle strette, confessò di aver ucciso lui Pasolini per difendersi dai soprusi e dalle minacce dell’intellettuale. Pino Pelosi era un “ragazzo di vita”, in poche parole uno di quegli spiantati che per sopravvivere accettavano di andare con gli omosessuali che, appunto, andavano alla loro ricerca, pagandoli. Ciò era una cosa nota, allora, confessata dallo steso Pasolini e risaputa nel suo entourage. Questa è la verità. Pino Pelosi l’ha ribadita più volte, anche se una volta uscito dal carcere – dove è rientrato più volte perché fuori non si è riadattato a vivere con un lavoro onesto – ha fatto intendere che ad ucciderlo fu lui, ma che non era solo, senza però aver mai fatto nomi.
È molto probabile che Pelosi abbia capito che da un dubbio aveva tutto da guadagnare in termini finanziari con interviste, foto e testimonianze, tanto è vero che questi dubbi sono sorti a processo già concluso.
C’è da aggiungere che la morte di Pasolini, essendo un intellettuale famoso ed essendo morto prematuramente – aveva 53 anni – è stata ritenuta troppo banale, per come si è svolta, e non è stata accettata da tutti. Insomma, alcuni ci hanno voluto vedere una morte con risvolti politici, quasi che con questi connotati potesse assumere un significato storico-politico degno del simbolo che incarnava.
Uno di questi è Walter Veltroni, che in una lettera al ministro della Giustizia chiede ad Angelino Alfano di adoperarsi affinché il processo venga riaperto e vengano fatte indagini alla luce delle nuove tecnologie che permettono di vederci più chiaro nelle modalità della morte dello scrittore.
Ecco un passo della sua lettera: “Stiamo ai dati di fatto: il paletto insanguinato, i vestiti, il plantare (trovato nella macchina di Pasolini, ndr). Oggi le nuove tecnologie investigative consentono, come è avvenuto per via Poma, di riaprire casi del passato”.
A questo punto Veltroni cita un passaggio del libro di Garofano e Gruppioni, rispettivamente capo del Ris di Parma e biologo, i quali, a proposito del luogo e delle modalità del delitto Pasolini, hanno scritto: “Oltre alle analisi del Dna che si potrebbero effettuare su molti reperti (alcuni dei quali mai sufficientemente presi in considerazione: il plantare, il bastone, la tavoletta…), attraverso lo studio delle tracce di sangue e di sudore, le scienze forensi vantano oggi un nuovo, importante alleato… La disponibilità degli abiti di Pasolini, ma soprattutto quelli del Pelosi, ci consentirebbe di ottenere importanti informazioni sulla modalità dell’aggressione. Dallo studio delle macchie di sangue ancora presenti, si potrebbe infatti stabilire (e magari confermare) la tipologia delle armi usate per colpire, le posizioni reciproche dell’omicida e della vittima e riscontrare quindi l’attendibilità della versione fornita da Pelosi…”.
Il cruccio di Veltroni è di voler dissipare le ombre, anche se riconosce che i magistrati “hanno lavorato con dedizione e scrupolo alla soluzione del delitto”, e comunque di voler mettere con un nuovo processo una parola definitiva alla verità storica.
Il ministro della giustizia, Angelino Alfano risponde, sempre sul Corriere della Sera, qualche giorno dopo, il 26 marzo, e si dice d’accordo con Veltroni sul merito della questione. Quanto alla riapertura del processo, pur dichiarando che il ministro non ha alcun potere di in materia, ha assicurato che avrebbe fatto l’unica cosa a lui consentita, quella cioè di inoltrare al Procuratore della Repubblica di Roma un’istanza a sostegno della riapertura del processo.
Non sappiamo cosa farà il Procuratore della Repubblica di Roma, sappiamo però che ad uccidere Pasolini fu Pelosi, reo confesso con prove inoppugnabili, e che fu solo, ma che anche se non lo fu, al massimo è stato aiutato da qualche altro “ragazzo di vita”, spiantato come lui. Il che non aggiungerebbe nulla alla modalità dei fatti e nemmeno al presunto risvolto storico-politico. Al più, all’eventuale altro complice aggiungerebbe solo qualche anno di galera dopo 35 anni da quei tragici fatti.