Nella teologia cattolica la virtù che spinge una persona a rinunciare a qualunque relazione sessuale. È la condizione di chi volontariamente si astiene da ogni rapporto carnale anche non completo. In senso più generale indica una scelta di purezza, spiritale e fisica, un’integrità morale e civile, una lealtà politica.
Per motivi morfologici non è possibile determinare la verginità fisica nell’uomo. Essa è osservabile solo nelle donne; in quelle vergini l’ingresso della vagina è parzialmente occluso da una sottile membrana chiamata imene che viene lacerata durante la prima unione sessuale completa.
In diverse tradizioni popolari la verginità femminile è strettamente legata all’onore personale o familiare. La sua perdita prima del matrimonio può essere motivo anche di grave infamia.
In molte culture occidentali nelle cerimonie matrimoniali la verginità è tradizionalmente simboleggiata dal velo e dell’abito bianco, ma spesso la sposa l’indossa anche se non è più vergine. Va inoltre tenuto presente che talora la verginità non è più considerata una virtù e anzi in certi casi può essere vista come qualità negativa, in quanto suggerisce che la persona non sia attraente o matura o sia eccessivamente legata a costumi del passato.
«Il filosofo Bertrand Russell nel suo libro Perché non sono cristiano, sosteneva che evitare esperienze sessuali prima del matrimonio fosse ingenuo e sciocco, e che farlo avrebbe alla lunga portato a più infelicità della pratica venerea. Questo sulla base del fatto che se si è all’oscuro del desiderio sessuale e della sua naturale conclusione, non si è in grado di distinguere tra una profonda infatuazione e un vero sentimento, e perciò si è indotti a scegliere male il proprio partner, mentre tale errore sarebbe evitabile se si conoscesse la differenza.
Al contrario il filosofo Philipp Mainländer, nel suo lavoro centrale Die Philophie der Erlösung, secondo Theodor Lessing, “forse il più radacale sistema pessimistico noto in tutta la letteratura filosofica mondiale intende la verginità come strumento d’elezione dell’elusione propcreativa, come un assecondamento di quello che egli identifica come il processo dissolutivo universale”.
Molti storici e antropologi fanno notare come in realtà anche nelle culture che attribuiscono grande valore alla verginità, come accadeva nelle culture occidentali prima della rivoluzione sessuale, si riscontra comunque una notevole attività sessuale pre-matrimoniale nelle tipologie che non implicano penetrazione vaginale: si parla dunque di una verginità tecnica. Pur non essendovi lacerazione dell’imene, ad esempio, si è fatto ricorso a rapporti sessuali di altro tipo: orale, anale, mastrurbazione, o simulazione del coito tra le gambe.
L’atto di perdere la verginità ovvero la prima esperienza sessuale, è considerato in moltissime culture come un evento molto importante e affine ad un vero e proprio rito di passaggio. Può essre visto come una pietra miliare di cui essere orgogliosi, o un fallimento di cui vergognarsi, soprattutto se derivante da sensi di colpa per una perdita di autocontrollo, o semplicemente come un momento naturale della crescita (…). Oggi è sempre più comune anche per le donne vivere la prima esperienza sessuale con naturalezza e a volte anche con orgoglio» (da Wikipedia).
Da ragazzo ho conosciuto una sedicenne che indossava tre robuste mutandine e due sottogonne, non accettò mai di consumare il coito, ma accettava che la toccassi nelle parti intime e che mi strapazzasse il pene fino a farmi venire.
Negli anni Cinquanta e Sessanta amiche e conoscenti si univano in matrimonio davanti al prete con l’abito bianco e la pancia gonfia. Oggi le giovani si sposano sempre meno in chiesa e quasi mai con il ventre pieno.
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