In Siria il regime di Assad massacra i manifestanti tra la “distrazione” della comunità internazionale mentre Gheddafi non cede
La politica estera nell’ultimo mese è stata oscurata dalla crisi economica mondiale e dall’altalena delle borse, che hanno costretto i governi di tutti i Paesi occidentali a concentrarsi sui conti, sui tagli, sulla crescita, sulle misure di risanamento. Ma l’oscuramento c’è stato anche perché non ci sono stati cambiamenti di rilievo rispetto a metà luglio. In sostanza, tutto è rimasto come prima, salvo un aggravamento della situazione, come è il caso della rivolta in Siria. Ci eravamo lasciati con una rivolta che ogni venerdì vedeva scendere in piazza migliaia di manifestanti che sfidavano il pugno duro del regime, che si serviva di cecchini per sparare sulla folla, salvo poi attribuirne le colpe ai rivoltosi stessi. Ora, dicevamo, la situazione si è aggravata, nel senso che il regime ha abbandonato i mezzucci ed ha schierato i carri armati nelle piazze e lungo le strade delle varie città della Siria. I morti non si contano: sono decine e decine ogni settimana e il bollettino di guerra ne conta sempre di più.
Nelle ultime settimane siamo alla devastazione di un Paese che non sopporta più il regime di Assad, che diventa sempre più sordo e sempre più crudele. Non ci sono risposte in termini di proposte e di riforme, la politica è assente, la casta fa quadrato dietro i carri armati e i soldati che sparano sui manifestanti senza nascondere nulla. Quanto più il regime aumenta la crudeltà, tanto più i manifestanti riempiono le piazze e purtroppo subiscono perdite. La protesta, però, ha sette spiriti. Ormai tra la popolazione e il regime è scontro aperto e impossibile da comporre.
L’una parte o l’altra dovrà soccombere. Dicevamo che i governi sono distratti da altre preoccupazioni che riguardano la crisi economica: e infatti la risposta della comunità internazionale è pressoché assente. Il che fa il gioco di Assad. La Francia ha minacciato di ritirare l’ambasciatore, all’inizio del mese di agosto l’Italia ha richiamato il suo per consultazioni, ogni tanto qualcuno in Europa rilascia una dichiarazione, recentemente Clinton ha minacciato ritorsioni contro la Siria, ma di fatto la comunità internazionale si è disinteressata della Siria o mostra di esserlo. La Turchia ha lanciato vari ultimatum, in quanto le sue frontiere sono prese d’assalto dai profughi siriani ma, come detto, i riflettori sono puntati altrove. Sui giornali si aggiornano i caduti, che sfiorano i diecimila, per davvero, non i diecimila di cui si parlò all’indomani della rivolta in Libia. Lì le cifre furono ingigantite per spingere i rivoltosi a non cedere. Di fronte a queste cifre e alla tenacia con cui i rivoltosi scendono in piazza, non sarà difficile immaginare che siamo ad un passo dalla guerra civile dagli esiti incerti. Prima o poi qualcosa dovrà intervenire in seno ai sostenitori di Assad, perché anche se la comunità internazionale è distratta, tuttavia difficilmente sopporterebbe ancora un regime massacratore del popolo. In Libia lo stallo dura. Gl’insorti non fanno progressi, non sono riusciti a colpire Gheddafi, come avevano promesso alcune settimane or sono, non hanno conquistato Tripoli, come avevano annunciato, non è vero che hanno dalla loro parte il popolo libico.
D’altra parte, se è vero che Gheddafi può contare sull’appoggio delle tribù e della maggioranza dei libici, è anche vero che non riesca a ristabilire il suo dominio su tutta la Libia. È vero che ne è impedito dai raid degli alleati, ma è anche vero che la rottura tra la parte sotto controllo degli insorti, la Cirenaica, e quella sotto il controllo del colonnello, la Tripolitania, è ormai un dato di fatto. Ci sono stati contatti diplomatici sia da parte degli insorti (Consiglio nazionale provvisorio) che da parte dei lealisti, con la Francia, l’Inghilterra e anche l’Italia, ma è difficile raggiungere un accordo, perché gl’insorti escludono tassativamente la presenza di Gheddafi e della sua famiglia al potere e i lealisti il suo allontanamento dal potere o, peggio, dalla Libia. Addirittura, un figlio di Gheddafi ha lanciato l’idea di elezioni democratiche nel giro di tre mesi, a condizione che cessino i raid e gli alleati si ritirino. Proposte difficilmente accettabili. Si sa, però, che il tempo gioca a favore di Gheddafi o del vecchio regime. Alla fine di settembre scade il periodo entro cui l’Onu aveva autorizzato i bombardamenti. Molti Paesi, comunque, sono stanchi della guerra in Libia e non vedono l’ora che finisca, oltre tutto costa troppo.
A meno che non succeda un miracolo, dopo la cessazione dei raid si va verso una divisione della Libia tra la Cirenaica governata dagli insorti e la Tripolitania controllata da Gheddafi. Il che sarà anche una soluzione utile per mettere fine alle ostilità, ma sarà anche una vittoria di Gheddafi stesso che aprirà subito dopo le porte alla Cina e alla Russia, con l’appoggio delle quali continuerà a restare al potere, in barba a quegli intelligentoni di americani e francesi che pensavano di potersene sbarazzare facilmente per averne benefici in fatto di petrolio, gas e investimenti.