Che la giustizia italiana faccia acqua da tutte le parti è noto, ma che anche quella europea stia messa male erano in pochi a sospettarlo. Dunque, per la Corte europea “il crocifisso nelle scuole limita la libertà di religione e viola il diritto dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni” e perciò va tolto.
Anni fa a strappare un crocifisso dalla stanza di un ospedale dove era ricoverata la madre (e a scaraventarlo fuori dalla finestra) fu il presidente di un’organizzazione islamica, un italiano convertito all’Islam, il quale chiese a gran voce anche l’eliminazione del crocifisso nelle aule scolastiche. La motivazione di quel gesto fu che il crocifisso era “un cadaverino” che metteva paura ai malati negli ospedali e ai bambini nelle scuole.
La vicenda giudiziaria di quel gesto si è conclusa con un nulla di fatto: il crocifisso è rimasto dov’era sempre stato.
Un primo commento sulla vicenda è che il gesto si basa non su un diritto ma su un sopruso. Infatti il ragionamento è: siccome io sono di un’altra religione e non tollero la vostra, non potendo io chiedere che venga affisso un mio simbolo (ma il minareto di una moschea non è un simbolo religioso?), voglio che venga tolto quello vostro. Cioè quello della stragrande maggioranza della gente.
Lasciamo stare che il crocifisso nei luoghi pubblici da simbolo di una confessione, quella cristiana-cattolica, è diventato segno di un messaggio di amore, il bello è che a chiedere l’eliminazione del crocifisso non sono stati i musulmani provenienti da altri Paesi, ma un italiano diventato musulmano. Il che, evidentemente, è legittimo, ma da questo che è un suo diritto di singolo calpestare i diritti della maggioranza ce ne corre. Qualche tempo dopo, fu un magistrato, Luigi Tosti, giudice del Tribunale di Camerino, che si rifiutò di celebrare i processi in presenza di quel simbolo.
Il giudice fu sospeso dal Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) e fu condannato per essersi rifiutato di celebrare i processi, poi la Cassazione annullò questa condanna, ma alla fine le sentenze dei tribunali italiani hanno lasciato il crocifisso al loro posto, attribuendo a questo simbolo un carattere di identità nazionale acquisita attraverso una lunga tradizione, per cui, come detto prima, da simbolo confessionale è diventato simbolo di una tradizione e di una cultura, tra l’altro – aspetto non secondario – simbolo di una cultura che si basa sull’amore tra i popoli e sulla tolleranza.
Si potrebbe dire che anche il cristianesimo, a differenza di qualche altra religione, si basa non sull’imposizione, ma sulla libera scelta e che il messaggio è di fratellanza, non di odio.
Se il primo era un italiano diventato musulmano, il secondo è un ateo dichiarato: nulla di male, ma anche qui vale il discorso di prima. Nel 2002 a chiedere l’eliminazione del crocifisso dalle aule scolastiche fu un medico, Massimo Albertin, membro del consiglio d’Istituto della scuola media “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, il quale, rimasto in minoranza, fece firmare il ricorso, poi arrivato alla Corte d’Europa di Strasburgo, dalla moglie, Soile Lautsi. Motivo di tanta tenacia: “i figli a scuola si sentivano osservati”. Insomma, il crocifisso incuteva loro paura.
Il dottor Massimo Albertin e la sua famiglia sono atei dichiarati, iscritti alla “Unione atei e agnostici razionalisti” fin dalla sua fondazione e questo spiega la tenacia delle loro iniziative giudiziarie.
La Corte Europea di Strasburgo, alla quale hanno fatto ricorso dopo le sentenze contrarie emesse dai tribunali italiani, ha ritenuto di accogliere l’istanza con le motivazioni riferite all’inizio.
La sentenza non è definitiva, il governo italiano ha presentato ricorso, sostenuto non solo dalla maggioranza, ma anche da quasi tutte le opposizioni. Poche le voci discordanti, come quella di Sergio Ferrero, segretario di Rifondazione comunista. Addirittura il professor Ugo Ruffolo, ordinario di diritto privato all’Università di Bologna, ateo dichiarato, ha scritto un articolo nel quale offre motivazioni a sostegno del ricorso del governo. Egli sostiene che quando il crocifisso era simbolo di una confessione e di un’Italia monoculturale e conformista era giusto, in nome della laicità dello Stato, chiederne la rimozione dalle aule delle scuole e dei tribunali e dai luoghi pubblici, proprio “in nome di un credo diverso”, ma ora che l’Italia è una società pluriculturale e plurietnica e che “l’Occidente è cambiato e attraversa una crisi d’identità, “il crocifisso ha perduto il senso di un simbolo di appartenenza confessionale per assumere quello d’identità culturale. E dunque non offende né chi professa altre religioni, né gli agnostici o atei”. È diventato un segno di appartenenza culturale, “è assurto a bandiera di una cultura la cui laicità ha radici giudaico-cristiane”.
Dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, al Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, che ha ironizzato sul fatto che l’Europa rinuncia alle sue radici cristiane per importare tradizioni estranee alla nostra cultura; da rappresentanti del governo come dell’opposizione (Bersani, non cattolico, ha dichiarato che il crocifisso non fa male a nessuno), è stato tutto un coro di giudizi negativi sulla sentenza, la quale, per coerenza, dovrebbe vietare i simboli religiosi da tutti i luoghi pubblici, quindi le chiese, i campanili con la croce, la stessa cultura letteraria e filosofica che non può prescindere dal cristianesimo e dai suoi simboli.
Dovrebbe, tra l’altro, proibire di andare in giro con collanine con crocifisso e impedire ai sacerdoti di ostentare il simbolo religioso. Possibile, insomma, che noi dobbiamo rinunciare ai nostri simboli di appartenenza per far posto a quelli di altre religioni, tra l’altro minoritarie, che provengono da lontano e che con la nostra tradizione non hanno nulla a che fare?
Ne riparleremo alla sentenza di appello.
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