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21 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Viaggio tra le macerie dei villaggi perduti

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Il sisma che ha accecato la speranza

L’Airbus vira verso il mare quasi a mostrarmi l’isola del Giglio e lo scoglio roccioso ove si arenò la Concordia nell’abbraccio al villaggio insulare.
Ancora qualche minuto e sarò a Fiumicino per l’incontro con i quattro cavalieri giunti da Ginevra con il sacco degli aiuti ai bimbi di Montefalcone Appennino e Smerillo, i villaggi degli umili e forti che hanno resistito al mostro degli inferi che li voleva cacciare dalla terra dei loro antenati.
Partiamo con il SUV ai cui comandi sta un giovane di quelle valli la cui sorte è stata, nei secoli, matrigna e avara.
Percorriamo la via Salaria tra il verde dei pascoli e la bellezza immacolata dei tigli che ti vengono incontro quasi a portarti un saluto ospitale.
Ore di viaggio lungo il tortuoso percorso che sale sino ai mille metri senza che te ne accorga tanto è dolce la pendenza del tratto ideato dalla saggezza del genio romano.
È il ragazzo del SUV ad informarci: siamo giunti al centro del cratere, il luogo ove la diabolica potenza del dio vulcano ha scatenato i suoi fulmini per annientare, in un attimo, quanto di bello e maestoso l’uomo sapiente di queste terre ha costruito nel corso dei secoli.
Il bosco di castagni, dopo i tigli, è di una tale imponenza da nasconderti per un attimo le rovine che scorgi laggiù tra uno spazio libero e l’altro della tortuosa erta ove ci arrestiamo per scolpire ai nostri occhi le rovine immerse nella solitudine del nulla rimasto se non qualche segno della grandezza di un tempo oramai remoto. Arquata e Pescara Del Tronto sono lì, accartocciate in un silenzio spettrale. Un ammasso di pietre e di resti costruiti dall’uomo: un forno, il contorto pilone di quello che fu il viadotto per raggiungere il borgo, parti di un letto su cui la compagna amata trascorse forse l’ultimo attimo accanto al suo uomo prima del secondo fatale in cui furono travolti, assieme a tanti altri valligiani, dall’ immane frana provocata dal tremolio del sisma. Già è nata la leggenda delle macerie rischiarate dalla fioca luce delle fiammelle nella penombra della sera per ricordare le vittime travolte e perite nell’ora fatale.
Arquata e Pescara Del Tronto sono scomparse. Ma lassù, a dominare ciò che resta di un mondo svanito nel nulla, è rimasto, invitto, il maestoso castello sui cui vigilò nei secoli il coraggioso guardiano.
Riprendiamo il viaggio in un silenzio che sa di mestizia e dolore. Sulla destra, la strada, interrotta, per Norcia, Amatrice e Accumuli.
Ricordo Gemona negli anni settanta. L’Irpinia del 1980. I ragazzi che accogliemmo a Ginevra per dar loro una vera testimonianza di solidarietà. L’Aquila antica e moderna con la sua università frequentata da tanti giovani di ogni parte del mondo. L’Emilia dei capannoni sventrati.
La mia Valtellina con il monte che scende a sbarrare la via verso le cime innevate dello Stelvio e le vette che dominano il ghiacciaio del gruppo Adamello.
Il monte Toc che si ribella alla follia dell’uomo e scatena la sua rabbia su Longarone, su Erto e su Casso: migliaia di morti il cui simbolo è nel ragazzo emigrato che alla mattina di un giorno ingrato si ritrovò solo a vagare nel cimitero dei passi perduti.
Tragedie italiane.
Siamo a Smerillo e Montefalcone Ci accolgono i sindaci dei villaggi feriti.
Feriti ma vivi.
La chiesa, il municipio, il museo, il monumento ai caduti, l’imponente castello, il fornaio, il moderno ristoro a rappresentare una nuova speranza.
Una scuola, il parco dei giochi con impressa la sigla ( SAIG, Geneve ) delle associazioni che hanno inteso donare le loro prime gocce di solidarietà. Il coordinatore, Carmelo, è venuto quassù con Antonio, presidente degli emigrati pugliesi, Francesco, presidente dei Calabri, e Gino, originario dell’ isola sarda.
Piccole scintille di vita. Tenacità. Amore per la propria terra.
Voglia di andare avanti. Adamo e Antonio: due sindaci accanto ai loro cittadini per preservare la memoria guardando al futuro con intatti fervore e fiducia.
A sera siamo accolti in un agro turismo gestito da un cittadino britannico con la tristezza di aver perduto il sogno della cittadinanza europea.
Nella penombra della sera dalla sommità del monte osserviamo in lontananza l’azzurro dell’adriatico scorgendo il profilo di una nave in rotta verso Venezia o Trieste.
Non sappiamo da dove è partita. Forse dalle Indie o più lontano ancora .O forse, chissà?, essa porta dei doni per questi borghi e per i valligiani rimasti quassù a dirci che nulla è perduto.
Attendiamo, assieme, l’alba con il sole che sorge a scaldare i loro cuori feriti e tuttavia, mai domi.

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