In Svizzera le violenze sessuali sono molto più diffuse di quanto si creda. Amnesty International ha pubblicato un’indagine dalla quale emerge un quadro assai allarmante
Una donna su cinque (22 percento) sopra i 16 anni è stata vittima almeno una volta di atti sessuali non consensuali e una donna su otto (12 percento) ha avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà. Le molestie sessuali hanno luogo nella maggior parte in spazi pubblici, le violenze sessuali nell’ambiente più stretto e a casa. L’8 percento delle donne ha acconsentito a rapporti sessuali per paura delle conseguenze e il 7 percento è stato costretto tramite violenza al rapporto sessuale. La metà delle donne tiene per sé l’episodio e l’altra metà ha condiviso l’esperienza con la cerchia più stretta e con le amiche. Una donna su dieci si è confidata con una struttura di consulenza o ha denunciato la violenza alla polizia. I casi registrati dalla polizia rappresentano, secondo Amnesty “solo la punta dell’iceberg” e per la maggior parte delle volte le aggressioni sessuali restano impunite. Dall’inchiesta dell’istituto gfs.bern, promossa da Amnesty International, sono emersi per la prima volta in Svizzera dati dettagliati della violenza sulle donne e i risultati dell’indagine su 4.495 donne sono “sconvolgenti”. Amnesty lancia l’allarme e pone richieste politiche: la legge svizzera è inadeguata. L’organizzazione chiede un diritto penale meno tollerante
La forte diffusione di violenze e molestie sessuali in Svizzera rende indispensabile una profonda e larga discussione sulle condizioni quadro statali e sul retroscena sociale sulle relazione con gli abusi sessuali. Amnesty International ha nel mirino il “vecchio diritto penale svizzero” in materia di reati contro l’integrità sessuale, perché non conforme alle norme internazionali sui diritti umani. Oggi per legge i rapporti sessuali senza consenso non sono sempre considerati come stupro. Questa lacuna muove due terzi delle donne a rinunciare a una denuncia per vergogna di un contatto con la polizia, per paura di non essere credute e per il sentimento di non avere alcuna possibilità. In questo senso c’è un mito diffuso sullo stupro da abbattere, ammonisce Agota Lavoyer, dell’Istituto per l’aiuto alle vittime “Lantana”: “Un mito ancorato ad esempio è quello della donna corresponsabile. La donna non si è difesa, quindi peggio per lei”. Spesso dopo un abuso sessuale si cercano i motivi perché una donna possa avere mentito. “Questo svalorizza la vittima, che spesso tace” ha aggiunto Lavoyer.
È dunque in base a questa realtà allarmante che l’organizzazione per i diritti umani chiede in una petizione al Consiglio federale di adottare la Convenzione di Istanbul, entrata in vigore nell’aprile 2018. Secondo la convenzione “lo stupro e ogni atto sessuale con un’altra persona senza il consenso reciproco è riconosciuto come reato penale. In Svizzera “la norma in materia di stupro presuppone la coercizione, violenza, ricatto violento o pressione piscologica” sostiene Amnesty International “senza coercizione, l’atto non è stupro, anche se la vittima ha detto chiaramente di No”. Il passo fondamentale è dunque “il cambiamento della definizione dello stupro per dare la priorità al consenso reciproco di tutte le persone coinvolte nel rapporto sessuale”.
Gaetano Scopelliti