«Il declino degli dei» di Gerardo Passannante – [email protected] – http://www.frammentiriflessi.wordpress.com
Tomo ottavo – Capitolo 492
Il vento dell’altopiano s’era nuovamente levato, e il cavallo avanzava male, con la schiena spruzzata e la coda legata. Il bianco dominava ovunque, immobile; ma all’orizzonte si incominciavano a scorgere le prime stelle. Conoscendo bene la zona, e sfruttando l’ultima luce crepuscolare, il cocchiere aveva calcolato di raggiungere la locanda successiva prima di notte. E anche se il sentiero era coperto e bisognava procedere a tentoni, riusciva a orientarsi col fiuto e l’esperienza, tanto che a volte aveva raddrizzato il cammino dei cavalli, intuendo quello giusto. Ma sapeva anche che la zona non presentava particolari pericoli, e con c’era il rischio di cadute. E in effetti poterono raggiungere la caupona senza ulteriore disagio; mangiare qualcosa, ristorarsi, riscaldarsi al fuoco di un camino, prima di stringersi nel sonno, e riprendere la via l’indomani. E così come era successo la sera precedente, desiderose di ascoltare il seguito della vicenda di Felicita.
“Vedendo mia irremovibilità, il proconsole mi schiaffò in prigione, insieme ai miei compagni Satiro, Saturnino e Revocato, in attesa di darci in pasto alle fiere, nel giorno natalizio del cesare.”
“E non ti preoccupava quella sorte?”
“Beh, devo dire che un po’ di paura l’avevo. Nei sogni vedevo i dentacci di quelle bestie, e non era una cosa bella, no! Ma ancora di più mi spaventava il buio del carcere. Non ero abituata a quell’oscurità. E poi che giornate erano! In estate, col caldo opprimente, insieme a ladri, briganti, bestemmiatori, assassini.”
“E tu con la tua gravidanza in mezzo a loro?”
“E che gliene fregava a loro di questo?! Almeno mi risparmiavano le loro manacce, se non peggio. Il pancione era insomma una benedizione. Io però confidavo in Dio. Solo che, mentre si avvicinava il giorno dello spettacolo, mi rattristavo per le mie condizioni. E allora dissi al tribuno di sorveglianza (un tuffo al cuore colse Valeria a quella parola): perché non ci permetti qualche sollievo, a noi che siamo condannati a combattere nel giorno natalizio di cesare? Non torna pure a tua gloria se ci presentiamo in buone condizioni?”
“E il tribuno, come si comportò?” chiese Valeria, certa che l’ufficiale si fosse mostrato nobile…
“Bene. Si stupì, arrossì, e ordinò di trattarci meglio. È che da quando ero entrata lì dentro, anche lui era diventato credente.”
“E quanto tempo restasti là?” chiese Valeria, pensando che anche Aurelio una volta era stato cristiano.
“Un paio di settimane. Una bellezza. Ma a coloro che venivano per curiosità, minacciai il giudizio di Dio. Non vi basta vederci nel giorno del supplizio? gli urlavo. Perché siete così sma-niosi? Però fissatevi bene nella coccia le nostre facce, per riconoscerle al momento buono. La mia di certo non se la scordavano, visto che ero incinta. I compagni mi dicevano di sperare, perché non potevano far eseguire la sentenza su una donna col pancione, e forse sarei stata rimandata ad un’altra occasione. Ma proprio mentre pregavano, fui assalita dai dolori. Un guardiano spiritoso mi disse: e che farai nell’anfiteatro, se non puoi sopportare ora questi dolori? Qui soffro io, gli dissi urlando e gemendo. Là invece sarà il Signore a soffrire per me! E continuai a spingere, finché il bambino non saltò fuori.”
“Vedendo mia irremovibilità, il proconsole mi schiaffò in prigione, insieme ai miei compagni Satiro, Saturnino e Revocato, in attesa di darci in pasto alle fiere, nel giorno natalizio del cesare.”
“E non ti preoccupava quella sorte?”
“Beh, devo dire che un po’ di paura l’avevo. Nei sogni vedevo i dentacci di quelle bestie, e non era una cosa bella, no! Ma ancora di più mi spaventava il buio del carcere. Non ero abituata a quell’oscurità. E poi che giornate erano! In estate, col caldo opprimente, insieme a ladri, briganti, bestemmiatori, assassini.”
“E tu con la tua gravidanza in mezzo a loro?”
“E che gliene fregava a loro di questo?! Almeno mi risparmiavano le loro manacce, se non peggio. Il pancione era insomma una benedizione. Io però confidavo in Dio. Solo che, mentre si avvicinava il giorno dello spettacolo, mi rattristavo per le mie condizioni. E allora dissi al tribuno di sorveglianza (un tuffo al cuore colse Valeria a quella parola): perché non ci permetti qualche sollievo, a noi che siamo condannati a combattere nel giorno natalizio di cesare? Non torna pure a tua gloria se ci presentiamo in buone condizioni?”
“E il tribuno, come si comportò?” chiese Valeria, certa che l’ufficiale si fosse mostrato nobile…
“Bene. Si stupì, arrossì, e ordinò di trattarci meglio. È che da quando ero entrata lì dentro, anche lui era diventato credente.”
“E quanto tempo restasti là?” chiese Valeria, pensando che anche Aurelio una volta era stato cristiano.
“Un paio di settimane. Una bellezza. Ma a coloro che venivano per curiosità, minacciai il giudizio di Dio. Non vi basta vederci nel giorno del supplizio? gli urlavo. Perché siete così sma-niosi? Però fissatevi bene nella coccia le nostre facce, per riconoscerle al momento buono. La mia di certo non se la scordavano, visto che ero incinta. I compagni mi dicevano di sperare, perché non potevano far eseguire la sentenza su una donna col pancione, e forse sarei stata rimandata ad un’altra occasione. Ma proprio mentre pregavano, fui assalita dai dolori. Un guardiano spiritoso mi disse: e che farai nell’anfiteatro, se non puoi sopportare ora questi dolori? Qui soffro io, gli dissi urlando e gemendo. Là invece sarà il Signore a soffrire per me! E continuai a spingere, finché il bambino non saltò fuori.”
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