È Happy Family di Gabriele Salvatores il primo importante film italiano di una primavera che si preannuncia piuttosto ricca di pellicole nazionali, anche se molti dei più popolari autori – Verdone, Virzì, Muccino, Avati, Veronesi e Ozpetek – hanno già proposto le loro pellicole nei primi mesi dell’anno. Nonostante le risate, la ‘famiglia felice’ raccontata dal regista di Mediterraneo è anche un modo per mettere da parte un presente, anche politico, che il regista ha manifestato di non amare troppo.
“Viviamo momenti – dice Salvatores – in cui l’happy end sembra non arrivare mai. Così evocare, come ho fatto io, un finale sereno ci stava tutto. La famiglia a cui fa riferimento il titolo – aggiunge – non siamo altro che tutti noi e credo che abbiamo diritto alla felicità”.
Costato meno di sei milioni di euro, il film prodotto dalla Colorado di Maurizio Totti con Rai Cinema, deriva dalla piece omonima di Alessandro Genovesi che ha scritto la sceneggiatura del film insieme allo stesso Salvatores. Di scena, in una ambientazione volutamente favolistica e colorata e sulle note delle canzoni di Simon and Garfunkel, uno sceneggiatore un po’ sfigato e distratto di nome Ezio (Fabio De Luigi) alle prese con una storia da scrivere e soprattutto con dei personaggi che, come quelli di Pirandello, entrano nella sceneggiatura come nella vita dell’autore. Personaggi che vogliono, parlando in macchina ovvero rivolgendosi allo spettatore, prolungare la loro esistenza virtuale.
La storia racconta il destino di due famiglie totalmente diverse incrociarsi per diventare, alla fine, un’unica grande famiglia.
C’è Vincenzo (Fabrizio Bentivoglio), ricco avvocato milanese sposato con Margherita Buy, che ha un figlio, Filippo, di 16 anni ostinatamente convinto di volere sposare la coetanea Marta. Quest’ultima a sua volta è figlia di un padre alternativo come Diego Abatantuono (uno che tra i mille lavori che ha fatto ha allestito una gelateria in Cecenia) e di una madre borghese sotto la maschera di una un-politically correct (Carla Signoris). Infine, c’è Caterina (Valeria Bilello) figlia 27enne di primo letto di Vincenzo, bravissima pianista, ma con un problema non da poco: crede di emanare cattivo odore come capita spesso alle rosse come lei.
Nel film, girato con ritmi americani, anche una parte in bianco nero che racconta la Milano che vive di notte. “L’utilizzo esasperato dei colori in molte scene – dice il regista premio Oscar con Mediterraneo – è stato un ulteriore modo di allontanarmi dall’aspetto realistico. Noi abbiamo come padri quelli del neorealismo e credo che a un certo punto i padri vadano ammazzati”.
Fabio De Luigi, un po’ Buster Keaton in questo ruolo di scrittore distratto e impacciato confessa: “Avevo già lavorato con Gabriele Salvatores in ‘Come Dio comanda’ ma quando ho letto la sceneggiatura mi sono spaventato. Dovevo fare uno un po’ frustrato e sempre chiuso in casa, insomma una persona che aveva tutti gli elementi per non far ridere”.