La Corte europea di Strasburgo condanna l’Italia perché nel 2009 respinse (o ”riaccompagnò”) in Libia circa 200 clandestini eritrei e somali bloccati in acque internazionali
La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia perché i ”respingimenti” degli immigrati clandestini in Libia, avvenuti il 6 maggio del 2009 al largo delle coste di Lampedusa, in acque internazionali, violano i diritti fondamentali dei cittadini. In particolare, Strasburgo dice che le circa 200 persone bloccate in acque internazionali furono trasferite su navi militari e riportate a Tripoli senza consentir loro di far valere i propri diritti, anzi, esponendoli al rischio di maltrattamenti in Libia (da dove erano partiti per la traversata, ndr) con possibilità di tortura e di imprigionamento. Gli articoli della Convenzione violati sono il numero 3 (proibisce trattamenti inumani e degradanti), il numero 4 (vieta le espulsioni collettive) e il numero 13 (dà diritto a mezzi di ricorso effettivi). La causa c’è stata perché gli avvocati dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, hanno rintracciato 11 somali e 13 eritrei maltrattati e incarcerati dalla polizia libica. La sentenza obbliga l’Italia a pagare le spese processuali e a risarcire i ricorrenti di 15 mila euro ciascuno. Questa è la nuda cronaca. Aggiungiamo che l’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha dichiarato: ”E‘ una sentenza politica di una Corte politicizzata. Rifarei esattamente tutto quello che ho fatto” e che l’attuale premier, Mario Monti, ha detto: ”La sentenza sarà esaminata con la massima attenzione. Si riferisce a casi del passato. Comunque, ne terremo conto per quanto riguarda il futuro”. Volendo entrare nel merito della sentenza, diciamo che sul piano teorico si può essere d’accordo: i diritti umani vanno tutelati in ogni luogo e per tutti. Sul piano pratico qualche dubbio sussiste e ogni legge deve tener conto di dove, quando e in quale contesto si sia svolto un fatto. Il primo dubbio riguarda l’articolo 3, quello che proibisce trattamenti inumani e degradanti. Nessuno ha detto che gl’immigrati clandestini fermati in acque internazionali e trasferiti su navi militari siano stati trattati in modo inumano. Semmai lo furono in Libia, ma non dagli italiani. Di conseguenza, la sentenza avrebbe dovuto condannare la Libia, non l’Italia. Anzi, ci si può chiedere: perché la Corte di Strasburgo ha condannato chi non ha commesso gli atti di ”inumanità” e non ha, invece, condannato la Libia?
Il secondo dubbio riguarda l’articolo 4, che vieta le espulsioni collettive. Alfredo Mantovani, allora sottosegretario agli Interni, ha detto: ”Ma come si fa a sostenere che l’Italia ha proceduto ad espulsioni collettive? Dicano quando è successo, dove, a che ora, quante sono state le vittime di quest’atto illegittimo”. La sua risposta al dubbio sollevato poc’anzi è: ”Intanto, non di espulsioni si è trattato quanto di riaccompagnamento. L’espulsione è un termine che si può usare quando l’allontanamento, l’espatrio coatto avviene dal territorio italiano. Nel nostro caso sarebbe avvenuto in mare”. E tra l’altro in acque internazionali. Resta in piedi l’articolo 13 che dà diritto a mezzi di ricorso effettivo. Qui è evidente che i clandestini non hanno avuto la possibilità di fare ricorso, ma non lo ebbero nemmeno quei clandestini respinti a colpi di fucile dalla Spagna o quei clandestini respinti da Sarkozy dalla Francia o quegli altri clandestini respinti da Malta e dalla Grecia, tra l’altro respinti in mare e questo sì è un’esposizione a rischi ben più gravi perché si tratta della vita. Siamo tuttavia consapevoli che la Corte si è pronunciata solo su un singolo episodio affrontato unicamente in punta di diritto e non inserendolo nell’ambito di un contesto riguardante il flusso continuo di immigrati clandestini. Proprio per questo Roberto Maroni e Alfredo Mantovani fanno appello al Trattato tra l’Italia e la Libia che prevedeva, appunto, il riaccompagnamento in Libia di coloro che dalla Libia erano venuti. Quanto ai danni, si potrebbe dire: chi paga all’Italia i danni provocati da quegli immigrati clandestini che a Lampedusa hanno appiccato incendi e distrutto strutture intere solo perché i tempi di identificazione erano lunghi in quanto molti di loro si rifiutavano di dare le generalità e di dire da dove provenivano? Forse non è peregrina l’idea di Alfredo Mantovani di invitare il governo a fare ricorso alla sentenza e ad allargare il campo del contesto dei fatti. Pensate: se, approfittando dell’attuale situazione, sulle coste greche sbarcassero decine di migliaia di clandestini, la Grecia sarebbe in grado di accoglierli, provvedere all’identificazione (spesso negata dagli stessi clandestini) e offrire loro pasti e alloggi? Se, insomma, i greci li respingessero, sarebbero da condannare? Si dirà: potrebbero sempre chiedere aiuto all’Europa. Ed ecco il punto: l’Europa, quella che ha detto allora all‘Italia, in sostanza: sono problemi vostri. Erano davvero solo problemi nostri? [email protected]