Rimonta di Sarkozy dopo il caso del terrorista islamico Mohammed Merah
La vicenda del ventitreenne terrorista algerino naturalizzato francese, Mohammed Merah, è finita nel sangue, esattamente come era iniziata. Aveva ucciso soldati magrebini come lui, aveva ammazzato crudelmente bambini ebrei e il loro padre insegnante, freddandoli con colpi di pistola a distanza ravvicinata ed è finito anche lui, colpito mentre cercava di sfuggire agli agenti che avevano fatto irruzione in casa sua, dopo un assedio durato parecchie ore. Come è finita questa tragedia, però, è un fatto apparentemente secondario, perché in realtà ci sono una serie di interrogativi che non solo la Francia, ma tutta l’Europa farebbe bene a non lasciar cadere. Verso la fine degli anni settanta, in alcuni Paesi europei, in alcuni in modo più pesante, in altri meno, si è conosciuto il fenomeno del terrorismo. Quello, però, era un terrorismo frutto di fanatismo ideologico, alla fine isolato da quegli stessi partiti da cui ideologicamente proveniva, e tutto sommato era ridotto. Ha dato l’impressione di essere un fenomeno molto esteso solo perché lo Stato era impreparato a fronteggiarlo e solo perché agli inizi è stato anche mal capito e fiancheggiato, seppure in parte, dal punto di vista politico e anche sindacale. Ora, però, il nuovo terrorismo – che potrebbe anche nascere e propagarsi in altri Paesi europei – è più temibile, perché i singoli terroristi o i gruppi di terroristi sono sì fanatici ma in un certo senso godono dei vantaggi di quanti ritengono che bisogna aprire le porte alle ondate di immigrati provenienti da Sud, e in particolare dal Nord e dall’Africa subsahariana. Non solo. Si circondano di un’aureola religiosa che mira a vedere negli altri gli infedeli, quindi nemici da abbattere se non si vogliono convertire. E quello che è peggio è che esiste un terreno molto fertile dove il terrorismo viene seminato, dove esplode e dove si mimetizza: i Paesi musulmani. Insomma, i massacri commessi da Mohammed Merah da una parte dimostrano che sono possibili dove e quando meno te l’aspetti, perché gli ambienti dove possono nascere e trovare un humus fertile sono sempre più numerosi ed organizzati, dall’altra che è più difficile controllarli. I francesi sapevano dell’esistenza di questo giovane, ma evidentemente non è facile tenere tutto sotto controllo, data appunto la dimensione delle comunità islamiche e la facilità con cui possono operare, anche perché un controllo più rigido potrebbe venir sfruttato politicamente e qualcuno o più di uno potrebbe gridare al razzismo.
Questa è la dimensione diciamo così europea della vicenda di Mohammed Merah, ma c’è quella francese, perché le stragi sono state commesse ad un mese esatto dal primo turno delle elezioni presidenziali, con un presidente in carica che è anche il candidato alla successione di se stesso e che era in ritardo rispetto al suo principale sfidante, il socialista François Hollande, dato per vincente nella sfida a due al secondo turno. Le stragi commesse da Mohammed Merah non solo ripropongono in modo drammatico il problema della presenza di milioni di immigrati di religione islamica – e fin qui non sarebbe un problema se non fosse che molti sono gli estremisti e i fanatici – ma ripropongono drammaticamente anche il problema della sicurezza. Gli spari, le stragi, il sangue, la morte, fanno piombare i cittadini in un mare di insicurezza e di rimessa in discussione dei punti fermi che caratterizzano la vita di ogni giorno. Nicolas Sarkozy, elettoralmente in difficoltà, ha avuto un vantaggio insperato da questi fatti di cronaca. Ha coniato lo slogan della “Francia forte” – forte contro il terrorismo – e dell’uomo forte, cioè lui che nelle situazioni difficili garantisce l’ordine e la sicurezza, e si presenta ai francesi come la guida nel mare tempestoso sia della crisi economica e sia nella palude possibile del terrorismo. Aveva detto: “Lo voglio vivo” e invece Mohammed Merah è morto. In 48 ore il terrorista è stato individuato e braccato e nelle successive 32 è morto. Questa è stata l’unica sfortuna per il presidente francese: morto Merah, se ne parlerà ancora per poco e poi su di lui e sugli interrogativi del terrorismo islamico nei Paesi europei cadrà il sipario. Preso vivo e imprigionato, se ne sarebbe parlato più a lungo, anzi, sarebbe stato l’argomento principale della campagna elettorale, condotta sul filo dell’emozione e dei sentimenti di precarietà e di insicurezza. Il presidente uscente ha ricevuto un assist involontario dalle stragi, perché gli hanno permesso di enfatizzare l’insicurezza, di porsi come il salvatore, il decisionista e l’uomo col pugno di ferro, il timoniere in grado di far uscire la nave dalla secca, tra l’altro costringendo Hollande difendersi su una posizione per lui perdente. Una cosa sola si può dire a difesa di Sarkozy: stavolta sua moglie Carla Bruni non c’entra per nulla, il presidente ha fatto tutto da solo, rimontando uno svantaggio enorme che aveva fatto dire anche ai suoi amici che con uno svantaggio così mai nessuno era stato rieletto.