All’indomani dell’istituzione dello scudo fiscale promosso negli anni 2008-2009 da Tremonti per il rientro dei capitali depositati all’estero tramite una tassazione del 5%, lo Stato italiano beneficiò di circa 5 miliardi di entrate facendo emergere circa 95 miliardi di euro esportati oltr’Alpe, di cui una parte rientrò legalmente in Italia. La misura fu controversa, perché gli oppositori sostenevano che chi aveva evaso se la sarebbe cavata con un misero 5%, mentre il ministro dell’Economia di allora riteneva che comunque una parte dei capitali erano rientrati con un vantaggio di circa 5 miliardi per lo Stato.
Abbiamo ricordato questo provvedimento per dire che al primo venticello di crisi a metà 2011, i capitali evasi ripresero la via dell’estero, tanto è vero che la Guardia di Finanza riuscì a bloccare circa 23 milioni alla frontiera. Il che significa che se tanti furono bloccati, molti altri riuscirono a passare. Quest’anno la cifra è raddoppiata. Ai valichi di frontiera sono stati bloccati 41 milioni di euro, per lo più in banconote da 500, nascosti nei luoghi più impensati. Vuol dire che la fuga dei capitali all’estero è continuata in grande stile, specie dopo i timori di un default anche italiano. Per la cronaca, oltre ai 41 milioni di euro, alle frontiere sono stati sequestrati 88 chili di oro (45 nel 2011) e 570 chili di argento (179 nel 2011). Si comprende come diventi sempre più urgente la firma di un accordo tra la Svizzera e l’Italia sulla scia di quello firmato tra la Confederazione elvetica e la Germania (oltre che con l’Austria, la Gran Bretagna e gli Usa).
Tremonti era favorevole, Monti pure, ma né l’uno, né l’altro potevano procedere perché l’Europa si opponeva. Infatti all’inizio, non aveva riconosciuto nemmeno gli accordi precedentemente firmati. Inoltre, a causa del blocco da parte del Canton Ticino di una parte del ristorno ai Comuni italiani della tassazione dei frontalieri, era sorto un contenzioso tra i due Paesi. Qualche mese fa, ambedue gli ostacoli sono stati superati, per cui dopo i due incontri tra la presidente della Confederazione e ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, e il premier Mario Monti, avvenuti il primo a Roma il 12 giugno e il secondo in Engadina il 17 agosto, si pensa che in autunno l’intesa sarà trovata e l’accordo potrà essere firmato subito dopo. I punti dell’accordo che interessano l’Italia sono il livello di tassazione iniziale una tantum da applicare ai capitali sfuggiti al fisco italiano, che garantirà l’anonimato: né basso, perché l’operazione non somigli ad un condono, né troppo alta, per evitare che dalla Svizzera spicchino il volo verso altri paradisi fiscali, all’incirca tra il 25 e il 35%. Poi c’è il livello di tassazione annuale, che sarà oggetto di accordo tra le parti.
Abbiamo accennato ai capitali all’estero, perché la debolezza dell’Italia non è soltanto l’elevato debito pubblico che recentemente ha toccato il 23% (circa 2000 miliardi di euro), non è soltanto la mancanza di crescita economica (in parte causata da troppe tasse e in parte dai vincoli troppo rigidi del rapporto di lavoro, ma è anche il livello troppo elevato di evasione fiscale. L’Italia è il Paese in Europa con più evasione, circa 200 miliardi l’anno secondo alcuni, circa 150 secondo altri, comunque troppi. Secondo uno studio americano il sommerso vale un quinto del Pil, cioè oltre 320 miliardi di euro.
Chi evade dice che in Italia esistono una classe politica vorace e troppe tasse (ormai si arriva ad una tassazione intorno al 55%, francamente eccessiva), ma resta il fatto che gli evasori commettono reato, pregiudicano la crescita e anche la possibilità che le tasse possano essere diminuite. E’ un circolo vizioso. A ciò si aggiunga il fatto che non si sta dando seguito al federalismo fiscale e si continua a non dare ai Comuni gli strumenti diretti per segnalare l’ipotetico evasore, e a non dare ai cittadini una contropartita vantaggiosa alla richiesta della fattura.
La lotta agli evasori è diventata una guerra che il Paese e i cittadini onesti non possono perdere.