La Commissione Onu per i diritti umani ha chiesto all’Assemblea sanzioni per Israele per le colonie realizzate nei Territori in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. La richiesta delle sanzioni potrebbe rappresentare per Israele un problema serio, finora non solo sottovalutato ma anche snobbato.
I tre magistrati che hanno raccolto le testimonianze non sono stati ammessi ad entrare in Israele, per cui i testimoni sono stati ascoltati fuori dai suoi confini. Israele non riconosce la missione e boicotta la Commissione. Ecco la dichiarazione ufficiale del governo: “Abbiamo deciso di non rispondere alle loro lettere e neppure alle telefonate”.
Martedì scorso a Ginevra la delegazione israeliana non si è presentata per l’”esame periodico universale”, che serve a determinare la situazione umanitaria in tutti e 193 i Paesi membri dell’Onu. Israele non solo ha boicottato l’esame, ma ha anche reagito polemizzando con la Commissione stessa. “Finora”, ha detto il portavoce ufficiale, “ha adottato 91 decisioni: trentanove di essere riguardavano noi, tre la Siria e una l’Iran”. La stessa dichiarazione del marzo scorso. In effetti, c’è uno squilibrio, con la differenza che i diritti umani calpestati, per quanto riguarda Israele, sono da ricercare nei confronti dei palestinesi, mentre in Siria e in Iran nei confronti dei cittadini stessi di Siria e Iran. Il rapporto della Commissione per i dritti umani è definito da Israele “controproduttivo e fazioso”.
Di tutt’altro segno il tenore della Commissione. Il rapporto consiste in 37 pagine che sono una condanna d’Israele per “gl’insediamenti costruiti in Cisgiordania e nelle zone di Gerusalemme Est”. In sostanza, la comunità internazionale è invitata a prendere in considerazione sanzioni economiche e politiche contro Israele. Si legge ancora nel rapporto: “Abbiamo messo in evidenza le responsabilità degli Stati, perché questi sono problemi noti a tutti e nessuno fa nulla per risolverli. Anche le aziende private che operano nei o con i territori devono vagliare il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali”. Ecco le raccomandazioni rivolte ad Israele e contemporaneamente l’atto di accusa che l’Onu deve prendere in considerazione: “Lo Stato ebraico cessi tutte le attività legate all’espansione delle colonie, fornisca un adeguato ed efficace risarcimento alle vittime e inizi immediatamente il processo di ritiro”. L’atto di accusa è perentorio e si richiama alla Quarta Convenzione di Ginevra che proibisce di trasferire la propria popolazione civile in aree occupate. Uno dei tre magistrati che ha condotto l’inchiesta è stato categorico: “Un’infrazione (quella di Israele, ndr) che può venir considerata crimine di guerra e finisce sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale”.
In effetti, lo scorso novembre la Palestrina è stata ammessa quale Stato osservatore permanente non membro dell’Onu con il voto della stragrande maggioranza degli Stati dopo la bocciatura avvenuta mesi prima della dichiarazione unilaterale dello Stato della Palestina. Una delle possibili conseguenze del nuovo status dei palestinesi è appunto la prerogativa di denunciare Israele alla Corte internazionale dell’Aja per crimini di guerra commessi nei territori. Il rapporto della Commissione per i diritti umani dell’Onu parla di 250 colonie dal 1967 ad oggi per un totale di 520 mila abitanti. E’ chiaro che non sarà facile mettere in atto un contro esodo, ma nemmeno è tollerabile che gl’insediamenti continuino con la costruzione di case e infrastrutture. In questo modo, scrive la Commissione, si configura “un’annessione strisciante che impedisce la nascita di uno Stato palestinese e mina il diritto all’autodeterminazione di un popolo”. Il rapporto si conclude così: “La Commissione è convinta che la motivazione dietro a questa violenza (nuovi insediamenti, ndr) sia intimidire i palestinesi e spingere la popolazione locale ad andarsene per permettere la crescita delle colonie. I bambini subiscono abusi e per loro è difficile frequentare le scuole, e questo limita il diritto di accesso all’educazione”.