Un terzo dell’elettorato svizzero avrebbe tendenze antidemocratiche. Ciò permetterebbe di abusare della democrazia. È quanto afferma lo storico Hans-Ulrich Jost, commentando la votazione per il divieto dei minareti.
Dopo il voto del 29 novembre, il professore emerito dell’università di Losanna non esclude che nei prossimi decenni si sviluppi una sorta di Kulturkampf contro l’islam. A suo avviso, la questione decisiva è però la capacità di difendere le istituzioni democratiche dagli attacchi polemici della destra nazionalista.swissinfo.ch: Nella storia svizzera non mancano esempi di paure nei confronti di ciò che appariva estraneo: gli ebrei, i comunisti, gli europei e l’Unione europea, ora i musulmani. Non c’è una contraddizione rispetto ai principi dello stato federale liberale svizzero?
Hans-Ulrich Jost: È così. La costituzione federale del 1848 era moderna e liberale, ma conteneva anche aspetti contradditori, come l’esclusione degli ebrei dai diritti politici o il divieto dei conventi e dei gesuiti. Nel XX secolo l’antisemitismo e la xenofobia si sono espressi con forza. L’emarginazione dei diversi ha una lunga tradizione in Svizzera.
swissinfo.ch: Il divieto dei minareti è davvero l’inizio di un nuovo Kulturkampf, di cui si parlerà ancora tra vent’anni, come ritiene il suo collega Urs Altermatt?
H.-U. J.: La questione dei lavoratori stranieri ha surriscaldato il clima politico svizzero per quarant’anni. Non posso prevedere il futuro, ma ci si può ben immaginare che la destra abbia trovato nell’islam un nuovo terreno da sfruttare in termini polemici. Questioni relative all’islam potrebbero essere utilizzate a fini politici nei prossimi 10, 20 o 30 anni.
swissinfo.ch: Non c’è il pericolo che la democrazia diretta diventi ostaggio della destra, che questioni di dettaglio siano caricate di valore simbolico, per scatenare dibattiti di carattere fondamentalista, senza preoccupazioni per i diritti fondamentali?
H.-U. J.: Il fatto che iniziative e referendum possano servire a enfatizzare temi politici è noto fin dall’introduzione della democrazia diretta nel XIX secolo.
Nella politica moderna si è aggiunto un nuovo fattore che rafforza questa tendenza. Lo si potrebbe chiamare “indagine politica di mercato”: partiti o movimenti cercano di individuare temi, emozioni e paure rispetto alle quali la popolazione è particolarmente sensibile. Poi lanciano un’iniziativa aggressiva, con il solo scopo di aumentare la propria visibilità politica.
swissinfo.ch: Con successo, come dimostra l’iniziativa sui minareti. Il “cittadino ragionevole” di stampo illuminista è ormai scomparso dalla politica svizzera del XXI secolo?
H.-U. J.: Già da tempo a decidere non è più una maggioranza delle cittadine e dei cittadini. La partecipazione al voto in Svizzera è di solito al di sotto del 50%. Se una proposta è accettata, è perché poco più di un quarto di tutti gli aventi diritto di voto l’ha sostenuta.
La democrazia comporta il pericolo che piccoli gruppi della popolazione possano diventare una maggioranza grazie a un uso abile della propaganda. Voglio ricordare che le dittature sono nate grazie a decisioni di una maggioranza. Hitler non è arrivato al potere con un colpo di stato; è stato eletto.
Ciò che ci terrà soprattutto occupati in futuro non sarà il conflitto tra culture, ma la questione se sapremo difendere le istituzioni democratiche dagli attacchi della destra estrema e nazionalista e preservare la democrazia.
L’elite politica della Svizzera non è composta di angeli. E poiché un terzo dell’elettorato ha tendenze antidemocratiche, quelle cerchie abusano in continuazione della democrazia.
swissinfo.ch: Che fare?
H.-U. J.: L’educazione civica potrebbe essere migliorata coinvolgendo i rappresentanti politici in dialoghi di alto livello. Non dovrebbe essere permesso ai politici di raccontare scempiaggini.
Un esponente di primo piano dell’Unione democratica di centro, per esempio, ha affermato una volta che la Svizzera nel 1938 introdusse la stampigliatura J sui passaporti degli ebrei stranieri, a difesa degli stessi ebrei.
swissinfo.ch: La Svizzera si trova in una posizione contraddittoria: è al contempo ferro di lancia nelle politiche contro l’immigrazione e piazza economica globalizzata. La lotta tra “apocalittici” e “integrati” comporta il rischio di una lacerazione dell’identità svizzera?
H.-U. J.: Il concetto di identità è inutilizzabile, come hanno già dimostrato da lungo tempo le discussioni scientifiche. Uno stato o un popolo non sono formati da elementi omogenei che conducono a un’identità; stato o popolo consistono piuttosto in una coesistenza di valori diversi. Questi sono talvolta contraddittori e non hanno nessuna relazione tra di loro.
Le regole del gioco democratiche devono invece essere difese. C’è il grosso pericolo che i diritti popolari, attraverso proposte a forte contenuto emotivo, mandino in rovina la democrazia.
swissinfo.ch: La destra europea loda la Svizzera per il divieto dei minareti. La Svizzera è forse il barometro o addirittura il pioniere di una particolare sensibilità verso le “minacce esterne”?
H.-U. J.: La Svizzera non è uno stato particolare con un popolo particolare e particolarmente sensibile. Non è un barometro, ma è piuttosto un esempio rappresentativo di un gruppo di stati europei in cui il conservatorismo di destra e il nazionalismo sono ben radicati da oltre un secolo.
swissinfo.ch: L’Europa seguirà la Svizzera nell’adottare misure contro l’islam?
H.-U. J.: Sì. Già dall’inizio del XIX secolo esiste un’internazionale dell’estrema destra, i cui gruppi sono molto ben collegati tra di loro. Se un gruppo ha successo con una proposta, gli altri lo imitano.
L’estrema destra nazionalista potrebbe di nuovo diventare un pericolo per il continente. Ricordiamocelo: è stata in larga misura responsabile di due conflitti mondiali che hanno causato grandi dolori all’Europa del XX secolo.