All’indomani delle rivelazioni sullo spionaggio telefonico e la violazione delle carte di credito, nonché dell’esistenza di archivi contenenti il Dna di migliaia e migliaia di persone – che in un futuro prossimo potrebbero essere milioni e milioni – e della possibile loro diffusione per fini illegali, due settimane fa ci siamo chiesti se era un bene o un male e abbiamo risposto che tutto dipende dall’uso che si fa di certe informazioni. Se le informazioni vengono usate a fin di bene, la facilità e le modalità con cui si ottengono potrebbero benissimo passare in secondo piano. Se, per essere più chiari, diventiamo prigionieri di una enorme rete di spionaggio per la nostra sicurezza, cioè per scoprire chi organizza attentati, è un conto; se, viceversa siamo schedati e siamo quindi soggetti ad essere manipolati contro noi stessi e la nostra sicurezza è un altro.
Ora, alla luce delle rivelazioni dell’ex analista della National Security Agency (Nsa), Edward Snowden, secondo cui la Cia ha spiato tutto e tutti, la nostra risposta per forza di cose deve essere più articolata, e cioè che può anche (anche) capitare che le informazioni servano per salvaguardare la nostra comune sicurezza, ma in genere vengono usate per carpire informazioni e segreti che hanno a che vedere non con l’interesse comune ma con l’interesse di gruppi di potere o gruppi criminali per scopi militari, industriali, politici o anche, appunto, criminali.
Insomma, sta venendo fuori una realtà talmente incredibile che quella della finzione cinematografica rischia di essere obsoleta o idilliaca. La storia più recente, d’altra parte, è ricca di atti di spionaggi illegali. Per definizione, lo spionaggio è illegale, ma una volta si aveva la convinzione che i servizi segreti occidentali erano “buoni”, quelli dell’Est “cattivi”, se non altro perché dietro quelli occidentali c’erano Paesi democratici e dietro gli altri le dittature. Ora si scopre che questa distinzione non ha più senso.
E’ venuto fuori che gli Usa – vedi il rapporto sul sistema Echelon pubblicato dall’Europarlamento nel 2000 – e gli altri Paesi loro partner (Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda), monitoravano ogni informazione per appropriarsi di “segreti industriali europei”. A sua volta il Regno Unito nel 2009 denunciò l’”attenzione” che almeno una ventina di agenzie spionistiche straniere avevano per il Regno Unito. Dicevamo che ogni Paese ha sempre spiato gli altri, ma che gli Usa spiassero i diplomatici di vari Paesi all’Onu a New York, che spiassero anche la rappresentanza Ue presso le Nazioni unite e il Consiglio europeo a Bruxelles, beh, non si può certo dire che lo facessero per la “nostra” sicurezza. Che poi i singoli Paesi europei – che ora negano tutti – informassero gli Usa per patti segreti concordati all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, non fa che aggravare la situazione.
In pratica le più sofisticate apparecchiature hanno solo facilitato la rete spionistica, ma a nessuno può sfuggire che fabbricare dossier, mettere in cattiva luce gruppi e personaggi avversari o rappresentanti di Paesi concorrenti non è solo frutto di immaginazione o di visionari di complotti.
Oggi Cina e Russia, accusati di hackeraggio da parte degli Usa, si stanno prendendo la rivincita per tutto quello che è stato rivelato dall’ex analista della Nsa. Hanno fatto tutti la stessa cosa e per gli stessi motivi che con i diritti umani non c’entravano nulla. Si spiega così l’ostinato rifiuto della Russia dello scudo cosiddetto difensivo americano in Polonia e nella Repubblica Ceca ufficialmente rivolto verso l’Iran. Si spiega così anche la diffidenza cinese verso le postazioni radar americane in Australia, in Corea del Sud, nelle Filippine e in Giappone. La Russia certamente ha il complesso della guerra fredda perduta nei confronti degli Usa, ma questi ultimi sono stati prontissimi ad “occupare” i territori ex Unione Sovietica.
“George Orwell”, ha detto Elmar Brok, capo della Commissione Esteri dell’Europarlamento, “non era nessuno” e ne stiamo avendo la prova proprio in questi giorni.