Ciò che non va donato, va perduto. (Proverbio indiano)
Ho provato a scrivere questo resoconto di viaggio in innumerevoli occasioni per poi strappare il foglio e ritrovarmi punto e a capo.
Il motivo? Non riesco a trovare parole che rendano giustizia al cuore, alle emozioni provate, ai sentimenti del momento, ma ci proverò. Trepidazione e curiosità, gioia e paura sono le sensazioni che mi sono state compagne durante il rocambolesco itinerario verso questo mondo a me sconosciuto. Sono finalmente a New Dehli..ma l’aeroporto ha un sapore ancora troppo multinazionale per farmi sentire fin da subito questo strano sapore dell’India.
La mia prima percezione, del mondo che mi ha fatto tanto sognare attraverso le letture di Kipling, Moravia e Pasolini, arriva sull’aereo per Ranchi, città dello Jharkhand…quando assorta nella lettura, scorgo una mano scura appoggiata sul sedile davanti che mi chiede con un cenno della testa di potersi sedere accanto a me. L’aereo è stracolmo di sari, puntini rossi in fronte, piedi scalzi e sembra che le note stonate siamo solo io e i miei due amici bianchi! Ad accompagnarci è Padre Andrea che generosamente mi ha invitata a intraprendere questo viaggio dell’anima; lui fa parte dei Padri Dottrinari in Italia e le loro attività sono diversificate: catechesi, parrocchie, formazione dei catechisti e Dottry e con le loro missioni, sono presenti in Francia, Brasile, Burundi e in India nella città di Ranchi, per l’appunto dove siamo stati noi.
Al nostro arrivo i seminaristi della comunità ci accolgono con una festa di benvenuto, intonano un canto per accoglierci e poi ci regalano delle collane di fiori, ci donano strette di mano e sussurrano “Jai Jesus”che nella loro lingua significa…viva Gesù…ed è insuperabilmente dolce iniziare le nostre giornate con un delicatissimo Jai Jesù.
Durante uno dei giorni trascorsi a Ranchi, siamo partiti alla volta della cattedrale per assistere alla messa (rigorosamente in hindi!). La navata centrale è un tripudio di colori, e canti coinvolgenti fanno da cornice a questo incomprensibile idioma…la gente è seria, c’è un rispettoso silenzio. Si sente un canto: sono due, tre voci che cantano insieme, forti, continue, infervorate. Il tono, il significato, la semplicità sono quelli di un qualsiasi canto di giovani che si può ascoltare in Italia o in Europa: ma questi sono indiani, la melodia è indiana. È in questo momento che ho avuto la percezione più intima della vita e dell’anima di un altro continente.
Ho ritrovato qui quel piacere di essere Chiesa che caratterizza le vere comunità cristiane, dove la parola di Dio sembra più vicina che altrove, dove la gioia di essere cristiani traspare dalla gente che va a messa. Non è insolito, proprio durante la celebrazione della messa cristiana, sentire il muezzin che chiama la preghiera, e non solo…qui ognuno ha un suo culto, Visnu, Siva o Calì, e ne segue fedelmente i riti.
Per la prima volta, potrà sembrare assurdo, ho avuto l’impressione che il cattolicesimo non coincidesse col mondo: e ciò ha provocato in me una specie di trauma, io che ho vissuto da sempre da cattolica in un mondo cattolico. Mi sono chiesta allora, per la prima volta in maniera urgente, da che cosa fosse riempito questo immenso mondo, questo subcontinente di quattrocento milioni di anime. Era troppo poco tempo che mi trovavo in India, per trovare qualcosa che potesse sostituire la mia abitudine alla religione di stato: la libertà di culto! Solo un po’ alla volta mi sono abituata a questa condizione di libera scelta religiosa, che, se da una parte dà un senso come di gratuità di ogni religione, dall’altra è straordinariamente ricca di spirito religioso puro.
Vivere in India vuol dire partecipare ad uno stile di vita completamente differente da qualsiasi tipo di esperienza avuta in Occidente. La vita, specialmente nelle aree urbane, è davvero caotica e i compiti più banali possono diventare spesso delle vere avventure! Insomma, in India niente è scontato. Suoni, colori, odori e il caldo umido pervadono i sensi e solo chi ci è stato può capire davvero.
Ci immergiamo nel traffico e nel caos indiano che tante persone avevano provato a descrivermi ma che, fino a quando non lo si vive di persona, non lo si può comprendere fino in fondo. Sulle strade vige la legge della prepotenza: procede solo il più ardito e chi suona più frequentemente il clacson. Siamo immersi in un inferno di auto, moto, biciclette, tuc tuc, risciò, camion che, senza nessun criterio apparente, si muovono tra le corsie. Avevo letto da qualche parte, che alla domanda di un turista ad un autista indiano sul perché facciano questo utilizzo smodato del clacson la risposta era stata: “For an indian driver the three most important things are: the horn (il clacson), the brakes (i freni) and the good luck!”. Sento di non aver bisogno di nessuna altra delucidazione! Luci, rumori, sterzate improvvise, moto con tre o quattro passeggeri, di cui il conducente scalzo e magari impegnato in una conversazione al cellulare.
I Padri Dottrinari a Ranchi ci portano a fare un giro nella scuola e nella sartoria che sostengono e che gestiscono mirabilmente. Ho avuto più volte l’impressione che questi Cristiani fossero personaggi usciti dalla Bibbia, sia nel vestiario che nel loro amorevole donarsi per l’Altro.
In queste occasioni abbiamo avuto modo di fare dei giri per i villaggi, toccando con mano la povertà disarmante che regna in questi posti e che l’immaginazione più fervida non riuscirebbe mai a descrivere. Le persone sono gentilissime e ospitali. Quando ti trovi in queste situazioni e ti rendi conto di essere pressoché l’unico bianco nel raggio di non so quanti chilometri riesci a cogliere l’essenza, a leggere la sfida che anima queste persone che è sfida per la sopravvivenza, concetto che a noi risulta lontano (perlomeno ai più). Con loro abbiamo parlato, scherzato, mangiato, giocato.
In fondo, ho scoperto quanto si possa essere, se non uguali, vicini nonostante millenni di tradizioni, storia, cultura, geografia così diversi. Siamo andati in più scuole; non riesco ad azzardare un numero per rendere l’idea di quanti bambini abbiamo visto, fotografato, toccato, baciato… ogni volta che scendevamo dalla macchina era un assalto, accorrevano da tutte le parti, eccitati per la novità e con un’energia esplosiva.
Occhioni languidi e profondi, birichini e timidi che cercavano di incontrare il nostro sguardo per poi rifuggirlo velocemente con un sorriso sotto i baffi. Tutti pronti a dare dimostrazione del loro inglese, orgogliosi di quello che hanno imparato a scuola: Whatʼs your name sister?” “Which country sister?” “How are you?”. Come fai a non innamorarti? E ti chiedi se i veri poveri sono loro o siamo noi… Sembra banale, ma risulta inevitabile farsi delle domande, chiedersi come facciano a sorridere e a sperare in un futuro migliore, e come facciamo noi, di contro, a lamentarci per ogni minimo ostacolo o aspettativa mancata?
E lì… si coglie tutta la portata del dislivello!!! L’India è un mondo che capovolge le domande: se ci siamo sempre chiesti…perché gli altri sono sempre più fortunati di noi? Adesso la domanda è perché noi siamo stati più fortunati di loro?
Se devo essere sincera, al rientro, dopo centinaia di foto scattate, strattoni a destra e a sinistra, spostamenti interminabili su strade a volte improbabili; dopo aver preso le misure di un asilo in costruzione e averlo visto crescere giorno dopo giorno; dopo aver visto 150 pargoletti desiderosi di andare a scuola, riempire uno scuolabus che ne potrebbe contenere solo 60; le donne in sartoria dedicare le ore dei loro pensieri a ricamare le preoccupazioni della loro vita; ti accorgi che dire che è stata un’esperienza toccante, costruttiva e arricchente, sia nel dare che nel ricevere è troppo poco…perchè è uno scambio talmente PURO che lʼunica cosa che ti viene da fare quando torni a casa di consigliarlo a tutti: “CHI AMA l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l’amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato”. (Terziani)