Pubblicato il 47.mo Rapporto Censis sulla situazione sociale in Italia. Sono 106 mila i giovani che ogni anno vanno all’estero in cerca di lavoro
Il Censis ha recentemente pubblicato il 47.mo Rapporto sulla situazione sociale in Italia, e la fotografia, come dire?, non è venuta bene. I mali sono i soliti: disoccupazione, povertà, servizi inefficienti, riduzione del potere d’acquisto dei salari. Riguardo a quest’ultimo punto, da altre fonti si è saputo che la perdita del potere d’acquisto ha toccato il 9% nel periodo compreso tra il 2009-2013. In realtà questo livello va letto bene. Nel 2012-2013 c’è stato un salto di circa il 5%, il resto va spalmato negli anni precedenti. Se, però, consideriamo che con l’introduzione dell’euro la perdita del potere d’acquisto dei salari ha perso di colpo il 50%, per effetto della parificazione 2 mila lire=un euro, allora appare chiaro che è più corretto parlare del 60%.
Ciò detto, e ritornando al Rapporto Censis, bisogna aggiungere che il giudizio degli italiani è impietoso sui politici. Non solo non hanno saputo risolvere i problemi, ma li hanno lasciati incancrenire, al punto che è venuta meno finanche la speranza che possa esserci una vera svolta. Se, dunque, si perde anche la speranza – che, come dice, il proverbio, è l’ultima a morire – vuol dire che il futuro è buio. Infatti, non sono pochi gl’italiani che già dal 2007 hanno ripreso la strada dell’emigrazione. La percentuale di chi va all’estero in cerca di lavoro è rimasta costante, ma nell’ultimo anno di colpo è salita del 28%. In termini numerici, ogni anno vanno via 106 mila giovani, diplomati e formati. Si capisce bene che se si contassero anche loro, i disoccupati supererebbero i tre milioni accreditati dal 12,4% di disoccupati nel nostro Paese. Sono un milione e 130 mila le famiglie italiane che contano al loro interno uno o più componenti che sono andati via in cerca di sopravvivenza e di fortuna. La speranza che viene meno va di pari passo con un’altra convinzione fortemente radicata e, aggiungiamo noi, giustificata: l’assenza della meritocrazia a tutti i livelli.
D’altra parte, non è una novità. In Italia, c’è chi si fa timbrare da un altro il cartellino d’ingresso al lavoro e nessuno dice nulla. Se qualcuno presenta una denuncia, succede che il giudice del lavoro reintegra il denunciato nel posto con l’obbligo di dargli anche gli arretrati. Il licenziamento, di fatto, è vietato a causa delle troppe garanzie per chi non solo non lavora in ufficio, ma addirittura non ci va a lavorare. Non è un’esagerazione. Parliamo, ovviamente, dei posti pubblici. Per quelli privati succede l’opposto: che ti prendono alla gola, che non ti pagano, che t’imbrogliano. E tutto questo tra l’indifferenza dei dirigenti, dei politici, delle autorità. Con un’aggravante: ad essere lasciati soli e messi da parte sono proprio coloro che vogliono fare il loro dovere. Ecco, più della metà degl’italiani, il 54%, individua nella mancanza di meritocrazia una delle cause della decadenza. Del resto, basta osservare che Mario Monti, per l’opposizione dei sindacati e dei loro referenti partitici, non è riuscito a fare una vera riforma del mercato del lavoro, ma solo una riedizione di quella precedente, fallimentare.
Dunque, le cifre. Da una parte i 3 milioni di disoccupati, dall’altra, degli occupati ben sei milioni vive di “lavoretti” e di mancanza di prospettive. Si legge nel Rapporto Censis: “Il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza. Infatti, un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa andrà peggiorando”.
La spesa è crollata ai livelli precedenti il 2002. Il 48% degli italiani ha affermato che ha cambiato le abitudini alimentari per risparmiare. In sostanza si comprano e si mangiano quegli alimenti meno costosi, anche se meno buoni. Il 63,4% compra in base al prezzo più conveniente. Una famiglia su quattro fa fatica a pagare le bollette e il 7=% sarebbe in difficoltà se dovesse affrontare una spesa imprevista. Incredibile. Tra il 2007 e il 2012 la compravendita delle abitazione è diminuita del 45%, ma nel 2013 il calo potrebbe superare il 50%.
Gl’imprenditori stranieri che lavorano in Italia sono 379.584: + 16,5% tra il 2009 e il 2012, più 4,4% solo nell’ultimo anno. Per imprenditori stranieri s’intendono anche gli immigrati che si sono messi in proprio, ma va detto che sono molte anche le imprese straniere (fatte d’immigrati, appunto) che non pagano le tasse e/o non pagano i contributi (vedasi le imprese cinesi, ad esempio). Il Censis individua nella cultura il settore chiave, che in Italia non viene valorizzato, né con i finanziamenti, né con regole meno burocratiche. Occupiamo nel settore della cultura la metà di quanto occupano Germania, Francia o Regno Unito, e tutto questo a prescindere di quello che i partiti dicono degli avversari e che poi non fanno nemmeno loro stessi, bravi a criticare, ma non altrettanto a fare.