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22 November 2024
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La Dottoressa Comasia Raguso, l’italiana dell’altra Italia

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RagusoLa Dottoressa Comasia Raguso è nata a Martina Franca in Puglia, nel 1964. Ha fatto i suoi studi di medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma, dove si è specializzata in Endocrinologia e Diabetologia. Nel 1992 ha vinto una borsa di studio per passare un periodo negli  Stati Uniti. “L’idea iniziale era di imparare una tecnica sperimentale per studiare l’utilizzazione degli zuccheri e dei grassi in vivo, nell’uomo, per poi applicarla nella ricerca una volta rientrata in Italia. In realtà mi sono trovata benissimo a lavorare negli USA e ci sono restata per 8 anni.  Si ha l’impressione che tutte le porte sono aperte, che si ha la liberta e i mezzi di testare le ipotesi scientifiche. Per un giovane ricercatore italiano, quale era  all’epoca,  è semplicemente entusiasmante ».

Ha lavorato all’University of Texas Medical Branch, dove ha fatto ricerca nell’ambito del metabolismo durante l’esercizio fisico, particolarmente nei soggetti diabetic, e ha dimostrato per la prima volta che l’utilizzazione degli zuccheri  durante l’esercizio fisico, da parte dei soggetti diabetici in assenza di insulina, era uguale a quella dei soggetti non diabetici.

In seguito si è trasferita a Boston dove ha esercitato al Massachussets Institute of Technology e collaborato con  il Massachussets General Hospital, interessandosi del metabolismo delle proteine e la loro utilizzazione ottimale secondo il loro profilo amminoacidico.  Nell’ultimo periodo della sua permanenza negli USA, ha iniziato una formazione specialistica in Medicina Interna , a Cleveland. “Sentivo forte il bisogno di tornare a lavorare con i pazienti. L’esperienza vissuta a MetroHealth, uno degli ospedali universitari di Cleveland, dove gli ha permesso di capire i disfuzionamenti del sistema di salute americano.  In quell’ospedale, che è uno dei pochi ospedali pubblici di Cleveland, arrivavano pazienti rifiutati dalle altre strutture, perché non avevano una assicurazione sanitaria, che all’epoca non era obbligatoria.

 – Ho visto persone ammalate di patologie che da noi, non esistono più grazie all’accesso universale alla Sanità. Duro era vedere diabetici  giovani che presentavano già le complicazioni della malattia, perché non potevano permettersi di pagare le medicine e l’assistenza medica.-

Perché è venuta a Ginevra ?

Mi sono trasferita qui a Ginevra per motivi di famiglia. In fondo, benché mi trovassi benissimo negli Stati Uniti, lo stile di vita europeo mi mancava. La prossimità con l’Italia mi attirava molto, mi è piaciuta l’idea di vivere in un paese che è sempre stato neutrale e che si distingue per il grande rispetto per l’ambiente, e che, dopotutto, ha  tra le lingue nazionali, anche la mia. A Ginevra ho lavorato per 10 anni all’ospedale Cantonale,  prima come Capo clinica nel servizio di Nutrizione e poi in quello di Endocrinologia/Diabetologia. Ho anche lavorato diversi anni nei servizi di Medicina Interna e Comunitaria e questo mi ha permesso di completare la formazione in Medicina Interna, iniziata a Cleveland.

Di cosa si occupa adesso?

Dopo tanti anni passati a lavorare in ospedale, ho sentito il bisogno di avere un’attività privata, nella quale privilegiare il rapporto medico paziente, quello che dura una vita, e che non si limita alla settimana di ospedalizzazione.  Il lavoro ospedaliero ha tante attrattive, è molto dinamico, si lavora in equipe, si vedono casi molto interessanti, ma manca la continuità. Una volta il paziente partito, quel rapporto si interrompe e di quella persona non si sa più niente. Ad un certo punto avevo voglia di costruire qualcosa di più duraturo, più solido, basato sulla fiducia per la quale vieni scelto dai pazienti come loro medico.  Mi occupo di diabete, obesità e delle altre patologie endocrine, ma anche di medicina generale.  Penso che il ruolo del medico non sia solo quello di curare una patologia, ma anche di  consigliare e motivare la gente a evitare certi comportamenti al fine di ridurre il rischio di malattia. Il diabete è  un esempio classico di patologia che non sempre si può evitare, ma di cui si possono evitare le gravi conseguenze, come le malattie cardiovascolari,  la neuropatia, l’insufficienza renale e certe patologie oculari, non solo seguendo religiosamente la terapia farmacologica, ma soprattutto  evitando certi alimenti e rinunciando a certe abitudini comode’.  Dopo una lunga giornata di lavoro, sapere che una giovane paziente reticente a fare la ginnastica a scuola, si è infine convinta a iscriversi in palestra mi permette di rientrare a casa felice.

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