«Semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito darsi alla pazza gioia): il motto conferma l’assunto secondo il quale le manifestazioni precedenti la quaresima, di allegria, di gazzarra e di pubblico scherno verso personaggi famosi, rappresentano, in fin dei conti, una sorta di contentino per il popolo. Come a dire: divertitevi, mascheratevi, prendete in giro i potenti, gozzovigliate, ma, attenzione: dopo, finita la festa, ogni cosa deve ritornare alla normalità, tutti di nuovo bravi, rispettosi delle regole, dell’establischment, delle classi egemoni e di chi governa. E’ di derivazione cristiana il significato di carnevale come il periodo dove la trasgressione, l’anticonformismo, la satira feroce sono provvisoriamente permessi purché si ristabilsca, poi, l’ordine costituito. In epoche più antiche e presso le comunità contadine il ciclo carnascialesco simboleggiava la fine della brutta stagione, dell’inverno e l’inizio della primavera. I riti che l’accompagnavano, di segno propiziatorio, miravano a scongiurare le calamità naturali e favorire buoni raccolti e prosperità. Mutati i tempi, oggi i moderni Saturnali potrebbero essere vissuti come una parentesi che ci fa dimenticare, anche se soltanto per qualche giorno, la crisi economica, la disoccupazione, il futuro precario per giovani e anziani. E allora spazio al divertimento, alla burla, all’umorismo variopinto, alle avventure erotiche, a canti, danze, libagioni abbondanti.
Dai ritmi frenetici, dalle natiche e dai seni generosi delle ballerine di Rio ai costumi sontuosi e alle straordinarie ricostruzioni storiche di Venezia; dai carri allegorici di Viareggio ai cortei chiassosi e suggestivi dei Rabadan e dei Fasnacht svizzeri, nelle piccole e grandi città è un esplosione policroma del bisogno di libertà, della voglia d’interpretare l’esistenza senza freni, vincoli, sofferenze; il ritorno, quasi, ad una remota stagione di felicità primordiale. In tanta babele di abbigliamenti stravaganti, di grasse risate, di sbornie, di lazzi, di coriandoli e battute ardite, i travestimenti sessuali giocano sempre un ruolo non marginale. Finiti gli eccessi e la baldoria, si ritorna al tran tran quotidiano, al bon ton, alle ipocrisie e alle convenienze dei rapporti umani e sociali.
Ma se, per alleggerire tristezze e monotonie, decidessimo di trasformare certi culti del carnevale in un modus vivendi permanente? Non il fracasso, la bolgia, i facili approcci carnali, la confusione assordante. Non il sovvertimento di assetti istituzionali democratici, di tradizioni e comportamenti condivisi, ma l’esercizio della fantasia, il ricorso all’apertura mentale, ad una spensieratezza goliardica, all’ironia sorridente, al coraggio di dire pane al pane e vino al vino e di contrastare compromessi biasimevoli e opportunismi. Cogliere un pizzico di follia, avere la determinazione a combattere prepotenze e ingiustizie; la disponibilità ad assecondare i mutamenti innovativi, a non rifuggire da culture, idee, valori diversi dalla nostra memoria e dalla nostra storia. Rivolgerci al prossimo con generosità e spirito solidale e, recuperando le belle consuetudini del passato, raccontare le favole ai bambini.