Né minore ansia teneva il cuore di Minervina, che tanto aveva udito sul conto di Elena, da temerne il giudizio. Al punto che più volte, nel corso del viaggio, aveva espresso i suoi timori a Costantino. Il quale ogni volta l’aveva rassicurata sul sentire di una donna che per amore aveva seguito Costanzo; per amore aveva lasciato che lui partisse, pur straziata all’idea della separazione; e che amore avrebbe riversato sul piccolo Prisco, che intanto aveva smesso di dormire, e ora, prodigiosamente, teneva di occhi sbarrati, quasi mostrasse a suo modo l’impazienza di conoscere la nonna.
Perno di diverse ansietà, Costantino mescolava le varie aspettative in un unico crogiolo riassuntivo: dove circolava, accanto al desiderio di rivedere Elena, nel cui volto avrebbe rivissuto le emozioni della separazione, anche l’impazienza di raggiungere il padre. Ma al tempo stesso soppesava la maniera di favorire l’accoglienza di Minervina da parte della madre, che, lo intuiva bene, poteva vedere in lei una pericolosa rivale. Consapevole che la natura impulsiva di Elena la portava a un possesso animalesco, istintivamente armato in difesa, sapeva che la prima prova da superare consisteva nel coniugare il timore di Minervina col sospetto di Elena; e sarebbe partito più tranquillo, se avesse potuto mediare un’accoglienza senza riserve.
Già da lontano scorse il gruppetto di persone che nello spiazzo antistante l’entrata attendevano il convoglio che avanzava. E ancora là, come se non si fosse mai mossa, rigida, con le braccia incrociate, stava Elena, che non accennò un passo finché la vettura non si fu arrestata. Costantino, che era già sceso da cavallo, le andò incontro con le braccia aperte, e la strinse per qualche tempo; mentre la madre, con la testa infossata nella sua spalla, non seppe trattenere le lacrime. Poi lo allontano da sé, per considerare meglio quanto in quell’uomo restasse del suo ragazzo di un giorno, e quanto assomigliasse al simulacro della sua fantasia, sicuro di sé, sorridente e positivo.
“Lasciati guardare, figlio mio! Come ti sei fatto grande e bello!”
“Sono qui, madre. Come stai?”
“Ah, non chiederlo. Non sono più quella di una volta. Mi sento più debole, una gamba mi duole. Ma… loro, dove sono?” chiese volgendosi alla carrozza.
Precedendola di qualche passo, Costantino prese Prisco dalle mani di Minervina e lo protese verso Elena. Quasi avesse avvertito l’importanza di quel primo incontro, e soddisfatto della brezza fresca che lo spostamento gli trasmise, sorprendentemente Prisco si slargò in un sorriso incantevole, mentre approdava tra le braccia di Elena, conquistandola d’un colpo. La nonna, già sdilinquita, iniziò a vezzeggiarlo per strappargliene un altro, che il volto ridivenuto serio del bambino si rifiutò di ripetere. Ma il grosso era ormai fatto: se aveva sorriso subito, pensava Elena, l’avrebbe fatto ancora. E dimenticando la presenza di Minervina, e tutta tesa al suo fine, per un po’ si ingegnò a coccolare il piccolo, con suoni, schiocchi di lingua, bacetti e solleticamenti sul petto e sulle guance: finché, dopo un momento di titubanza, Prisco si decise ad esibire una prodezza di labbruzzi che la conquistò definitivamente. Elena seppe allora che quel piccolo era del suo sangue; e stringendolo a sé si volse finalmente alla ragazza che Costantino aiutava a scendere dal carro, e che con dignitosa riservatezza le andò incontro con la testa leggermente inchinata.
“Che tu sia benvenuta in questa casa!” disse Elena con un calore che superò ogni speranza di Costantino, ignaro del prodigio compiuto da Prisco. “Mio figlio mi aveva scritto della tua bellezza. Ma l’immagine che me ne ero fatta è ben inferiore alla realtà. Se dal risultato posso risalire all’origine, non era esagerato quanto si decantava di tua madre.”
“Mia madre?” arrossì Minervina, sorpresa di sentirla evocare in un luogo sperduto come Naissus; e confusa dal doppio complimento, ringraziò ancora con la testa.
“Sì,” disse Elena. “Che mi puoi dire di lei?”
“Non ho sue notizie recenti, e sono un po’ preoccupata.”
“Perché? È forse malata?”
“Quando l’ho lasciata a Velletri, in verità, la sua salute fisica non destava preoccupazioni. Ma il suo spirito, ahimè, non era lo stesso di un tempo. Parlare con lei era come ascoltare una lunga serie di ricordi, tristezze, delusioni. E di sofferenza. Forse ho fatto male a lasciarla, benché in buone mani. Ma come avrei potuto sottrarmi al desiderio dell’imperatore?”
“Un altro ordine dall’alto?” si irrigidì Elena, che proprio per le decisioni di Diocleziano era stata abbandonata da Costanzo, e che nel comune destino si sentì meglio disposta verso Minervina.
“A questo proposito,” si intromise Costantino, “posso però precisare che ho sentito più volte raccontare da Diocleziano che la venuta di Minervina a Nicomedia non era stato un suo capriccio… Senza dire che, diversamente, non avrei avuto la fortuna di incontrarla, l’imperatore aveva voluto mantenere la parola data a suo padre, di prendersi cura di lei. Per questo la fece condurre a Nicomedia, dove le riservò alcune stanze, e volle che fosse trattata come una principessa, quale di fatto è. Solo la mia frequentazione del palazzo, e il privilegio che l’imperatore mi ha sempre concesso di essergli accanto, mi hanno permesso di incontrarla…”
“Ma perché? Il padre non era forse con lei a Roma?”
“No, madre, né avrebbe potuto esserci. Il padre di Minervina era quel Paolo di Samosata, di cui devi aver inteso qualcosa, e che da Aureliano fu accantonato dalla funzione di vescovo e ridotto quasi a mendicare. Diocleziano lo aveva incontrato durante la spedizione in Siria, tra le macerie di Palmira; e Paolo, ormai vecchio e debole, gli aveva rivolto la preghiera di volersi occuparsi della figlia che aveva avuto da Zenobia, e che lui neanche conosceva. Diocleziano allora gli diede una promessa, che poi mantenne… Senza nominare le sue numerose qualità, si tratta pur sempre della figlia di una regina e di una mente acuta quale quella di Paolo. Da queste premesse, non stupirti se la mia sposa coniuga in sé la bellezza della madre e l’intelligenza del padre…”
“Di tutto questo io stessa, in verità, non sapevo molto,” aggiunse Minervina. “So solo che tutta la mia infanzia è trascorsa a Velletri, sotto i pronostici di mia madre, che un giorno sarei salita molto in alto. E a dire il vero, non mi pare che si sbagliasse. Già il fatto che Diocleziano in persona si fosse occupato di me era indizio non piccolo della mia fortuna. E poi Costantino, che certamente è destinato a scalare al vertice del potere, e che mi ama, compirà pienamente il desiderio di mia madre,” concluse senza sospettare di avere di fronte un’altra madre che nutriva le medesime ambizioni, e che perciò rafforzava quei voti.
“E quando fosti condotta a Nicomedia, riuscisti poi a incontrare tuo padre?” chiese Elena realmente intrigata.