La seconda banca svizzera ha trovato un accordo con le autorità statunitensi: pagherà una multa di 2.6 miliardi di dollari e manterrà la licenzia bancaria negli USA
Con la dichiarazione di complicità in evasione fiscale negli USA per facoltosi clienti americani, il Credit Suisse raggiunge l’intesa con il Dipartimento di giustizia statunitense (DoJ) per chiudere la procedura sul lungo contezioso fiscale. All’intensa si è giunti dopo un’indagine che dura dal 2010, quando le autorità fiscali e giudiziarie americane hanno aperto delle inchieste a carico di 14 banche con sede in Svizzera, delle quali Credit Suisse è la maggiore. Secondo un rapporto del Senato americano del 2006, l’istituto elvetico deteneva soldi in gran parte non dichiarati di 22.000 clienti statunitensi per un ammontare tra i 10 e 12 miliardi di dollari.
Dunque il mea culpa sul reato addebitato, recitato dai rappresentanti di Credit Suisse davanti a una corte federale in Virginia, appare il male minore, nonostante l’ingente multa. Credit Suisse ha accettato di pagare una sanzione di 2.6 miliardi di dollari, ma non ci saranno altre conseguenze penali: all’istituto non sarà revocata la licenza bancaria ed è esclusa la trasmissione di dati dei clienti della banca. Nella conferenza stampa il numero uno del Dipartimento di giustizia statunitense Eric Holder ha affermato che “nessuna istituzione finanziaria è al di sopra delle leggi, qualsiasi siano le sue dimensioni”. Pertanto sarebbe potuto andare peggio. La banca svizzera ha rischiato un procedimento penale con conseguenze incalcolabili, come la fine dell’istituto. Credit Suisse diventa così la prima banca, negli ultimi 20 anni, a dichiararsi colpevole di un reato negli Stati Uniti.
Il CEO dell’istituto, lo statunitense Brady Dougan, in un comunicato aveva espresso “rammarico per i passati comportamenti sbagliati in precedenti affari con gli USA”. L’intesa non costerà il posto a Dougan e neanche al presidente del consiglio d’amministrazione Urs Rohner, nonostante le richieste di dimissioni di alcuni parlamentari socialisti. L’accordo è invece stato accolto con “soddisfazione” dal Consiglio federale, che questa volta, al contrario di UBS nel 2009, non ha partecipato direttamente ai negoziati, limitandosi al ruolo si spettatore e mediatore. “La soluzione al contenzioso fiscale rispetta il diritto svizzero”, ha affermato il ministro delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf in conferenza stampa. Il governo non dovrà ricorrere “al diritto d’urgenza per trasmettere dati di clienti e questo rafforza la piazza finanziaria svizzera”. L’unica via percorribile per la consegna dei dati di clienti americani resta l’accordo di doppia imposizione, che il senato americano dovrà ratificare.
L’intesa permette a Credit Suisse di concentrarsi nuovamente sulle sue attività e di chiudere una parte della vertenza. Per gli altri 13 istituti svizzeri, che sono nella categoria 1 del programma statunitense, la posizione rimane immutata e sono in attesa di risolvere il contenzioso fiscale. Il Consiglio federale si attende che nei prossimi mesi le banche chiudano con il fisco americano con una “regolamentazione, che è stata adottata per Credit Suisse”. Fra le banche imputate ci sono la Julius Bär (la più toccata), le banche cantonali di Zurigo e Basilea e alcune filiali di banche estere. Esse dovranno trovare una soluzione con trattative bilaterali. Dopo la prima sentenza c’è da attendersi che la procedura sarà più veloce, anche se il parametro usato per calcolare la multa a carico di Credit Suisse è pesante e non riserva giorni sereni agli organi dirigenti delle banche chiamate in causa.