Minivocabolario di Paolo Tebaldi
E’ un termine che si presta a significati diversi, non univoci, usato spesso oggi nel linguaggio della vita pubblica per esprimere, da parte di formazioni politiche sia di destra che di sinistra, giudizi negativi sui comportamenti e sui programmi degli avversari. L’Enciclopedia Treccani ne dà la seguente definizione: «Movimento (Russia, 1860-90; America Latina, 20° secolo) fondato su una rappresentazione idealizzata del „popolo“ come portatore di valori autentici, tradizionali, in contrasto con la corruzione delle élite. Il populismo è caratterizzato dalla presenza di un leader, che stabilisce un rapporto diretto con le masse e che quindi tende a privilegiare la via plebiscitaria su quella parlamentare».
La storia contemporanea di una società in crisi di ideali e di utopie, in Italia con il ventennio berlusconiano e le vicende successive, in Europa con l’affermarsi di gruppi sostenitori di ideologie nazionalistiche e di estrema destra, ha portato in auge la parola populismo, che viene strombazzata o temendo i pericoli di derive autoritarie o per esaltare le doti del capo carismatico, del deus ex machina che risolve ogni situazione scabrosa o complicata. Eugenio Scalfari, che ha compiuto novant’anni il 6 aprile scorso, scrittore con riflessioni etico-filosofiche, prestigioso giornalista fondatore del quotidiano La Repubblica, in un recente editoriale della domenica ha scritto: «Esprimo qui un’opinione personale: Renzi è un populista che combatte il populismo in casa d’altri ma lo applica in casa propria (…). Nella storia moderna il populismo, i partiti personalizzati, le leadership assolute e il decisionismo sono diventati conseguenze inevitabili del suffragio universale, perciò il livello della politica e la qualità del bene comune sono precipitati in basso».
Non la pensa diversamente Ilvio Diamanti, acuto studioso e analista dei fenomeni e delle trasformazioni sociali, dei rapporti tra le generazioni, dei temi riguardanti l’identità, la partecipazione, la cittadinanza, i flussi migratori e l’integrazione. Nella rubrica Mappe ha affermato che in Italia «Il populismo è un’etichetta applicata senza molti problemi. Riguarda, anzitutto, il M5s e Beppe Grillo. Per il loro euroscetticismo, ma, soprattutto, per l’esplicita opposizione alla democrazia rappresentativa. In nome del popolo sovrano, che decide da solo (…). Ma se il populismo è comunicazione personale diretta senza mediazione, allora va ben oltre la Lega, Berlusconi e Grillo. Diventa un imperativo per chiunque intenda imporsi, politicamente (…). Per questo diventa difficile dire chi sia populista, o meglio chi non lo sia. Perché tutti coloro che ambiscano a imporsi sulla scena pubblica debbono usare uno stile populista. E lo ammettono senza problemi, mentre ieri suonava come un insulto.(…). Meglio allora rinunciare a considerare il populismo una definizione perlopiù negativa e alternativa alla democrazia». Diamanti sostiene che «il concetto di popolo quando ricorre in modo tanto esplicito e frequente, nel linguaggio pubblico, denuncia, semmai, che qualcosa non funziona nella nostra democrazia rappresentativa. Perché il popolo non trova canali di rappresentanza efficaci (…) Perché Il governo e le istituzioni non sono efficienti e non suscitano passione. Così non resta che il populismo. Sintomo e al tempo stesso diagnosi del malessere democratico. Meglio non limitarsi a scacciarlo con fastido. Per guarire dal populismo occorre curare la nostra democrazia». Una conclusione tagliente che non si può che condividere: occorre mettere in campo tutti gli strumenti, le opportunità, le iniziative grazie alle quali la cultura, la conoscenza, la criticità trasformino la generica accezione di gente, masse, individui in comunità impegnata e consapevole di diritti e doveri uguali per tutti.