Le elezioni europee sono alle spalle. La festa è finita. Al presidente Matteo Renzi, alla vigilia del semestre europeo, il compito più gravoso: indicare la strada del dialogo ai popoli dell’est in un momento tra i più drammatici del post guerra fredda. È in gioco il ruolo dell’Europa. La sua capacità di indicare un cammino. Un percorso comune. Un avvenire di concordia e progresso per tutti i popoli del vecchio continente. Da kiev tutto appare oscuro, incerto, indecifrabile. La crisi ucraina è entrata in una fase acuta. È iniziata da oramai sette mesi senza che vi sia in vista una soluzione positiva. Certamente, se vogliamo, qualche piccolo segnale distensivo è pur apparso: l’elezione del Presidente Poroshenko e un sia pur timido inizio di un dialogo con l’altro protagonista della crisi, il presidente russo Putin. Ma, e nonostante l’appello alla ripresa del dialogo tra i contendenti, pervenuto dall’Unione e dall’organizzazione per la sicurezza e cooperazione europea, si risponde sul terreno con atti di ritorsione e aggravamento, orchestrati, presumibilmente, da ambedue i contendenti, Mosca e Kiev. Le passate settimane hanno fornito il condensato di una dinamica turbolenta e incontrollabile. L’ incontro tra Putin e Poroshenko in Normandia, in occasione delle solenni celebrazioni dello sbarco di settanta anni or sono, precedeva di poco l’irruzione dei carri russi nel Donbass, la morte di 49 militari ucraini nell’aero di trasporto abbattuto dai ribelli separatisti nella regione di Sloviansk , nonché l’assalto all’ambasciata russa a Kiev. Messa a parte la popolarità del presidente Putin in Russia, ben oltre l’ottanta per cento, il bilancio degli ultimi sette mesi è disastroso: per l’Ucraina, per l’Unione europea e per la Russia stessa.
I capi dell’Unione europea , che si ritroveranno a Bruxelles il 26-27 Giugno, avranno la possibilità di riflettere, in comune, sulla questione di fondo a cui hanno evitato sino ad ora di rispondere: quali relazioni strategiche deve stabilire l’Unione con la Russia. Chi pensa che si può continuare come nel recente passato dovrebbe fare più attenzione alle affermazioni dei maggiori analisti della politica russa e del pensiero putiniano. Un insondabile universo che gli occidentali cercano di sviscerare sino all’ossessione. Il presidente russo, è l’analisi dei più esperti e avveduti russofoni, non vuole niente altro che il ritorno alla casella di partenza della fine della guerra fredda. Nell’euforia del crollo del blocco sovietico, abbiamo visto emergere un nuovo ordine mondiale fondato sui valori democratici dell’occidente. In Europa, tale ordine, ha preso le sembianze della nuova Unione. Durante il breve periodo di un certo romanticismo democratico, e con la regia di Gorbaciov, l’hanno creduto anche i russi. In pochi anni la dura realtà dei fatti ha mostrato che la costruzione democratica non era così semplice. Dopo due decenni e tre presidenti ( lo sciagurato Eltsin. Medvedev e Putin ) i russi si domandano: ma di quale ordine mondiale si parla? Per gli osservatori più attenti, dalla fine della guerra fredda non è emerso alcun ordine mondiale. In principio, dopo un conflitto, l’accordo tra vincitori e vinti stabilisce delle nuove regole. È sempre stato così, nella prima come nella seconda guerra mondiale. Sono le regole dei vincitori formalmente accettate dagli sconfitti. La guerra fredda, tuttavia , non fu una vera guerra, e non si è conclusa con un accordo di pace. L’Unione europea, per esempio, ha stabilito sue proprie regole considerando che le stesse dovessero progressivamente applicarsi a tutto il pianeta. Il problema sta nel fatto che la Russia non ha dato il suo assenso. L’obiettivo fondamentale della politica russa sta nel ritornare al punto di partenza e rinegoziare la fine della guerra fredda. Poco importa l’esistenza di testi, trattati, carte e memorandum vergati per stabilire le relazioni tra gli stati europei e la Russia, erede dell’Unione sovietica.
La quasi totalità dei testi furono negoziati dall’Urss. E la carta di Parigi, che li riassume, fu firmata nel 1990 da Gorbaciov, ultimo capo sovietico prima del dissolvimento. Gli europei, da parte loro, e con irresponsabile miopia, hanno presto abbandonato la quasi totalità delle assicurazioni fornite a Gorbaciov sul pretesto che la situazione strategica era, nel frattempo, cambiata. Si dimenticava che, se ciò era vero, valeva per tutti: in oriente come in occidente. Quanto al memorandum di Budapest del 1994, che garantiva l’integrità territoriale dell’Ucraina in cambio della cessione alla Russia delle armi nucleari ereditate dall’armata sovietica, l’unico e vero obiettivo degli Stati Uniti d’America, nessun stato europeo l’ha , da allora, ratificato. Quale nuovo ordine mondiale ci attende? Lì sta il dilemma. Ciò che è sicuro è che le regole non saranno più imposte dagli stessi attori protagonisti che hanno fallito nel passato. Il dramma ucraino ci dice che è venuto il momento, imperativo e urgente, di una riflessione di fondo su quanto sta accadendo per impedire che i nostri vicini orientali divengano un terreno di scontro con la nuova Russia imperiale di Putin. Per Matteo Renzi un semestre di straordinaria complessità.