Amare ed essere amati, una delle cose più naturali del mondo ma anche una delle più complesse e a volte incomprensibili! Nella conferenza indetta dall’ASRI il 12 novembre prossimo, insieme a Vito Mancuso, teologo laico, scrittore e autore del bellissimo volume “Io Amo. Piccola filosofia dell’amore”, cercheremo di scoprire di più su uno dei fenomeni più multiformi e controversi di tutti i tempi
Professor Mancuso, cosa l’ha spinta a dedicare la sua vita allo studio e all’approfondimento di aspetti teologici e filosofici della vita?
A proposito del mio rapporto con la religione potrei parlare di innamoramento e dire che il colpo di fulmine avvenne proprio a causa di un teologo svizzero, Hans Küng, di cui a 17 anni lessi “Dio esiste?”, una cavalcata nella storia del pensiero umano, soprattutto moderno e contemporaneo, a partire dal problema dell’assoluto. Io allora ero molto attratto dalla filosofia e senza dubbio avrei studiato filosofia all’università, ma quando lessi Küng sentii che la ricerca teologica non era solamente intellettuale ma coinvolgeva tutta la vita, anche la dimensione pratica e sentimentale. La religione è stata e continua a rimanere per me un’offerta di senso molto importante dentro cui abitare, pensare, agire, e a partire dalla quale trovare orientamento e consolazione in questa vita spesso disorientante e sconsolante.
I suoi studi l’hanno portata a formulare nuove teorie e pareri spesso contrastanti con la Chiesa cattolica. Può spiegarci brevemente qual è la sua visione?
La mia visione è che occorre pensare con la propria testa anche all’interno dell’esperienza religiosa. Se io talora critico la dogmatica e la morale ufficiale della Chiesa cattolica e assumo delle posizioni diverse, è esattamente per questo: per ospitare al massimo dentro di me lo spirito di verità e di autenticità. Se in questa prospettiva alcuni dogmi consolidati mi appaiono insostenibili alla luce della maturazione della coscienza morale e dello sviluppo della conoscenza, non temo di dire che quei dogmi vanno riformulati, perché così come suonano oggi sono solo causa di disagio per la mente. Mi riferisco in particolare ai dogmi che critico nel mio libro L’anima e il suo destino: l’origine dell’anima direttamente da Dio senza nessun contributo dei genitori, la corruzione dell’anima a causa del peccato originale, la risurrezione della carne, la dannazione eterna nell’Inferno.
Lei si esprime a favore di alcuni concetti etici, quali contraccezione e fecondazione assistita, che però si scontrano con alcuni principi fondamentali della Chiesa cattolica. Come è arrivato a maturare queste convinzioni?
Guardando e pensando la vita, e soprattutto vivendo, talora in prima persona, talora mediante i miei amici, le situazioni di cui parla. Diceva un altro grande teologo svizzero, questa volta protestante, Karl Barth: “Il pensiero, quando è vero, è pensiero della vita e in ciò e per ciò è pensiero di Dio”. Teologia letteralmente significa proprio “pensiero di Dio” e quindi si può dare autentica teologia solo se si pensa la vita. La teologia è pensiero della vita orientato al bene, è la messa in atto di quei modi di pensare a favore della vita e del suo fiorire in tutte le dimensioni vitali. Ora che cosa è la contraccezione? Semplicemente una modalità di regolare responsabilmente le nascite, per evitare di mettere al mondo figli infelici o peggio ancora ricorrere all’aborto. E perché mai dovrebbe essere illecita? La motivazione data dalla dottrina cattolica (inscindibilità tra unione sessuale e procreazione) non tiene perché non considera che il senso della responsabilità morale sta proprio nell’esercizio della libertà, la quale può dire anche no alle necessità naturali. Se una coppia è già stata aperta alla vita e ha messo al mondo due o tre figli e non ne può avere altri perché le risorse economiche non lo consentono, che cosa fa di male impendendo artificialmente che l’unione sessuale possa condurre a una nuova gravidanza? Semmai fa solo bene perché agisce con responsabilità.
E per quanto concerne la fecondazione assistita, essa dice allo stesso modo che la libertà umana, grazie alla tecnologia, può supplire alle deficienze della natura e far sì che l’atto coniugale al servizio della vita continui attraverso le provette. In entrambi i casi abbiamo a che fare con un esercizio della libertà e la Chiesa non dovrebbe lottare contro l’esercizio della libertà quanto piuttosto incoraggiarlo offrendo criteri per agire responsabilmente e non egoisticamente.
Il prossimo 12 novembre terrà un’interessante conferenza a Zurigo dal titolo “Verso una filosofia dell’Amore”, ispirata al suo ultimo libro. Cosa l’ha spinta ad affrontare un tema così profondo e sfaccettato come l’amore?
Il punto di vista filosofico mi si è imposto a partire dalla complessità dell’oggetto. Si può infatti parlare fondatamente dell’amore solo convocando discipline diverse quali la letteratura, la mitologia, la fisica, la chimica, le religioni, e il punto di vista che sintetizza tutto ciò non può essere più la teologia ma appunto la filosofia. Quanto al motivo che mi ha portato ad affrontare l’amore, direi che si tratta della vita stessa, la quale rimane inspiegata se non si fanno i conti con la presenza in essa di quella particolare forma di energia che chiamiamo amore.
Non crede che alcuni concetti riguardanti l’amore e su cui si fonda la morale cattolica siano ormai superati, che debbano “svecchiarsi” oppure essere reinterpretati in chiave più moderna per stare al passo con la società odierna?
Una buona parte del mio libro è dedicata all’illustrazione dell’inadeguatezza della dottrina cattolica in ambito sessuale. Fra tutte le tradizioni religiose dell’umanità il cattolicesimo si segnala per la sua intransigenza, dato che presenta sempre e solo dei no sugli ambiti della vita sessuale quali rapporti pre-matrimoniali ed extra-matrimoniali, prostituzione, fornicazione, masturbazione, contraccezione, divorzio, omosessualità. La Chiesa cattolica a seguito del Vaticano II ha saputo rinnovare la propria morale sociale e infatti oggi la dottrina sociale della Chiesa è in grado di parlare alla società intercettandone le energie migliori. Purtroppo però il rinnovamento non poté avere luogo anche per la morale sessuale perché Paolo VI l’impedì avocando a sé la materia e pubblicando poi nel 1968 l’enciclica “Humanae vitae” in cui ribadiva la dottrina tradizionale senza tener per nulla conto degli sviluppi della società. Di questa enciclica molti vescovi dichiararono i limiti, tra loro il cardinale Carlo Maria Martini ne sottolineò, per usare le sue stesse parole, “errori” e “limitatezze di vedute”. Sono in molti nella Chiesa a condividere queste critiche e soprattutto è nota la pressoché totale inosservanza dei precetti dell’Humanae vitae da parte dei fedeli cattolici.
L’uomo è fatto per amare?
Così com’è, l’essere umano è fatto e insieme non è fatto per amare. Intendo dire che dentro ciascuno di noi c’è una zona caotica e indeterminata chiamata libertà che si può determinare come amore ma anche molto diversamente, come egoismo, volontà di potenza, edonismo, persino odio. Siamo un fenomeno complesso, e all’amore ci si arriva solo mediante una lunga scuola, una cura quotidiana, un esercizio vigile, ma insieme leggero e mai oppressivo. Una cosa però sento di poter sostenere: che quando si giunge a vivere in pienezza l’esperienza dell’amore la vita fiorisce come mai prima e si sperimentano i momenti più belli dell’esistenza, perché non c’è nulla di più globale e di più avvolgente dell’amore. In questa prospettiva credo quindi si possa dire che noi per lo meno siamo fatti per imparare ad amare.
Eveline Bentivegna