La tragedia dell’amianto non ha colpevoli
Amianto! Provo un brivido. Risento il grido straziante di un dolore antico. Mi appare il giovane aitante e senza paura, orgoglioso di aver creato una famiglia: delle figlie adorabili; una donna da amare; Il futuro racchiuso in quelle sue forti mani da muratore intente a sollevare il ferro e posare il mattone. Guardava, il giovane, all’insù verso non so quale vetta delle tante babilonie che l’uomo, senza paura, ha costruito nel corso del novecento. Era solo un sogno, destinato a svanire nel nulla spettrale di un mattino invernale dell’alta Engadina ammaliata dal suono fluttuoso del fiocco che scende a coprire la terra di un bianco splendore. L’affanno, il respiro accecato dal rantolo che annuncia la fine. Le inutili cure. I Consulti. Le analisi che sanno di resa. Più nulla. Così partì verso il mistero, il giovane, quel 23 dicembre di un anno qualunque. E forse gli apparve il Nazareno già sceso a occupare la grotta da cui poi partì il messaggio di gloria e d’amore. È finita la farsa di anni. Processi e rinvii.
Giustizia nel nome di un popolo che ha smarrito la fede nell’attesa di un atto che salvi il diritto e l’onore. I 256 morti accertati; I tre, quattro, cinquemila, chissà?, centinaia di migliaia, o forse milioni annientati dal morbo, il Dracula che entra e distrugge il corpo e le menti, il tutto, svanito nel nulla di un’ultima sentenza, che, ammettendo il reato, lo dichiara prescritto nell’oblio di un remoto passato. Vergogna, Vergogna, vergogna, hanno gridato i parenti all’annuncio dell’atteso verdetto. E poi più nulla. Casale Monferrato, il luogo del misfatto, ha dichiarato il lutto cittadino. Tra quelle colline in cui cresce il grappolo, già bene prezioso di Bacco, vive un giovane dal nome che è tutta una storia. È Paolo Liedholm, nipote del grande Nils, disceso dal freddo dei mari del nord per calpestare le zolle dell’allora San Siro. Coltiva la terra del nonno e produce un ottimo vino. È stata un’idea acquisita dal grande “Barone”, che, oltre alla destrezza dei magici piedi nell’accarezzare la palla, possedeva un fine cervello. Era, Nils, un svedese dal palato latino. Paolo ha perso sua madre nel 2009, a Casale. È avvocato di parte civile, e all’annuncio della sentenza ha esternato una tragica frase: l’ingiustizia ha coinciso col diritto. Noi, comuni mortali, non siamo in grado di sapere cosa è successo all’ “amiantifera” di Balangero nel torinese, la più grande cava d’amianto in Europa, O negli stabilimenti svizzeri, Belgi e brasiliani. Chi vi ha lavorato nei decenni. Quanti hanno abbandonato questo mondo a causa della polvere omicida.
Nella generale omertà, si levò, talvolta, qualche voce coraggiosa. Maria Roselli Bozzolini, autrice del libro “Amianto & Eternit”, giornalista, e il responsabile sindacale per la sicurezza sul lavoro, Dario Mordasini, due persone di grande levatura intellettuale e morale, conducono da tempo una battaglia di verità e giustizia. In un mondo senza memoria, sono l’eccezione che aiuta a recuperare la storia dei tanti sconosciuti eroi periti sul lavoro. Marcinelle è assurto a luogo purificatore dell’ingiustizia perpetrata nei secoli. Molto ci sfugge, sommerso dalla polvere dell’oblio e dagli interessi dei costruttori di morte, a cui, null’altro interessa se non la ricerca del profitto senza regole e senz’anima. Stephan Schmidheiny, miliardario e maggiore azionista delle fabbriche di Casale e Cavagnolo, che, si legge nella sentenza che lo riguarda, con “coscienza e volontà cagionava la morte di lavoratori operanti, famigliari, cittadini residenti,” ha espresso soddisfazione per la sentenza di prescrizione della pena.
Vorrei ben dire!
La cancellazione, con un breve tratto di penna, dei “motivi abietti “( la volontà di profitto)e il mezzo insidioso “(l’amianto) per cui fu condannato in prima istanza a 18 anni di detenzione, definita una diabolica tragicità. A tutti noi, a uomini e donne impegnati sull’impervio terreno della giustizia e dei diritti il compito di mobilitare le coscienze affinché quella sentenza non abbia scritto la parola fine. Lo dobbiamo, anche in Svizzera, ai tanti lavoratori e lavoratrici che hanno abbandonato nei decenni la confederazione per andare a morire nelle loro terre, inconsapevoli del male che avevano portato con se. Riposate in pace, miei cari. Quassù avete lasciato una traccia. E qualcuno ancora ricorda e vi ama.