Intervistato da Leo Caruso per Radio Lora, Loris Campetti, giornalista corrispondente da Roma del quindicinale Area, ci parla di alcuni temi fondamentali dell’attuale governo italiano
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi è davvero di sinistra?
È difficile riuscire a individuare le menti di sinistra se non nella speranza e nell’immaginario di chi di sinistra lo è davvero in Italia. Se sinistra vuol dire, per esempio, eguaglianza, l’analisi di tutti i provvedimenti che riguardano il lavoro porta a dire che c’è un aumento della forbice della diseguaglianza. C’è una sorta di ossessione nei confronti dei diritti del lavoro per cui, siccome in Italia c’è una percentuale spaventosa di disoccupati, soprattutto giovanile, allora bisogna fare una cosa molto semplice: i pochi che lavorano non hanno diritti, sono precari e quindi bisogna spalmare i diritti, così come la dignità, fra tutti e ridurre i diritti di chi in qualche modo ce li ha per passarli un po’ ai più giovani, scatenando in questo modo una sorta di conflitto tra presunti garantiti (che garantiti non sono più) e chi è senza garanzie, tra una generazione anziana e una generazione di giovani, insomma generare la guerra tra poveri. Se essere di sinistra, appunto, vuol dire estendere i diritti a tutti, è difficile sostenere che Renzi sia una persona di sinistra.
Parliamo del Jobs act: Luciano Gallino, uno dei più autorevoli sociologi italiani dalle colonne di Micromega, proprio in questi giorni ha affermato che per certi aspetti questa riforma del lavoro potrebbe tranquillamente essere stata scritta da un ministro di un passato governo Berlusconi, non a caso Maurizio Sacconi, ex ministro di Berlusconi, è uno dei politici più entusiasti…
Sì, io condivido totalmente questa analisi di Luciano Gallino e potrei perfino aggiungere, senza nessuna cattiveria, ma con un po’ di tristezza, che le politiche tentate da Berlusconi sul lavoro, dai suoi governi, sono state portate a termine dal governo Renzi. Tutto quello che ha tentato di fare Berlusconi e non è riuscito a farlo, ci riesce Renzi. Facciamo gli esempi legati al Jobs act, il primo è l’articolo 18, l’Italia è stata un punto di riferimento con la sua legislazione del lavoro per l’intera Europa per una lunghissima stagione, prima con la Costituzione italiana che ha al suo primo articolo la centralità del lavoro, e poi con lo statuto dei lavoratori. Adesso diventa un punto di riferimento negativo per le peggiori scorribande dell’ultima stagione del liberismo.
L’articolo 18 è una scelta di civiltà secondo cui se un lavoratore viene licenziato ingiustamente, si dice in termini tecno-burocratici senza giusta causa, e un giudice appura che effettivamente è un licenziamento discriminatorio, questo lavoratore ha il diritto di rientrare al suo posto di lavoro. Ora invece la modifica comporta che questo lavoratore ha tutte le ragioni che aveva prima, ma anche se il giudice in base alle sue indagini giudiziarie lo ritiene discriminato, non ha più il diritto di ritornare al suo posto di lavoro, ma viene pagato per andarsene fuori dai piedi. Questa è la cancellazione della dignità del lavoratore. Il secondo punto riguarda il demansionamento, cioè il diritto degli imprenditori, in caso di crisi o di ristrutturazione, di inquadrare a un livello più basso, da un punto di vista del salario, degli orari e dei diritti, gli stessi lavoratori. Terzo punto, che è l’articolo 4 dello statuto dei lavoratori che viene di fatto cancellato, riguardava il divieto dei datori di lavoro di controllare con strumenti elettronici a distanza i lavoratori. Ora gli imprenditori lo potranno fare. Forse questi tre esempi rispondono alla domande se Renzi è di sinistra oppure no.
Il problema però resta fondamentalmente politico perché abbiamo visto che le due anime del partito democratico, quindi la Leopolda e Piazza San Giovanni, non sono in qualche modo compatibili. Cosa succede a tutti coloro che pure sostando nel Partito democratico non si sentono rappresentati da questo personaggio di sinistra?
Dipende se ci interroghiamo rispetto agli elettori del Partito democratico, rispetto ai gruppi dirigenti, compresi quelli diffidenti. Se ci occupiamo dei gruppi dirigenti che non condividono le scelte di Renzi e della sua nuova e giovane segreteria, resta il fatto che, con alcune eccezioni lodevoli, a ogni passaggio politico e parlamentare, alla fine per amor di Patria con l’utilizzo spregiudicato del voto di fiducia si salva sempre il governo. Questo per motivi di cultura politica, cioè quella legata al centralismo democratico, e per motivi meno nobili, cioè che per restare in sella bisogna inventare come si vince. Non voglio citare né De Filippo né Totò, ma insomma il trasformismo è parte integrante.
Leo Caruso