Dopo ore di discussione il Nazionale si è spaccato e ha bocciato la riforma delle forze armate. Ad affossarla Sinistra e UDC
A sorpresa, dopo oltre sei ore di dibattito, il voto congiunto da parte di socialisti, democentristi e Verdi (86 voti a 79 e 21 astenuti), ha avuto ragione sulla riforma dell’esercito, che gli Stati avevano adottato in marzo. La Camera dei cantoni dovrà quindi riesaminare il dossier.
L’UDC ha sfogato la propria frustrazione per non essere riuscita a far iscrivere nella legge un budget annuale minimo (da 5 a 5,4 miliardi di franchi) e un esercito di 140 mila uomini. Il campo rosso-verde avrebbe voluto invece un esercito più piccolo: 80 mila soldati e mezzi finanziari per 4,4 miliardi. Il Consiglio federale propone un budget di 19,5 miliardi per il periodo 2017-2019. Un progetto in tal senso sarà presentato alle Camere nel primo trimestre del 2016. Nel corso dei dibattiti, prima del colpo di scena finale, la maggioranza aveva seguito per lo più le raccomandazioni della propria commissione preparatoria, approvando l’idea – già sottoscritta dal Consiglio degli Stati – di un dimezzamento dell’organico attuale, ossia 100 mila uomini al posto di 200 mila. Questa disposizione sarebbe dovuta figurare in un’ordinanza, e non in una legge, di modo da non essere attaccabile con un referendum. Gli Stati avevano optato per questa soluzione. La maggioranza aveva seguito la commissione anche sulla lunghezza della scuola reclute (18 settimane) e sul numero di corsi di ripetizione: 6, al posto di 5 come deciso dalla Camera dei cantoni, per una durata di 3 settimane ciascuno (280 giorni di servizio). L’obbligo militare sarebbe dovuto durare per 12 anni dopo la scuola reclute, al posto di 9 come chiedeva una minoranza di sinistra.
Il plenum ha anche mantenuto la soglia massima del 15%, come stabilisce il diritto attuale, per quanto riguarda il numero di persone che scelgono, al momento del reclutamento, la ferma continuata, ossia optano per la possibilità di svolgere il servizio militare in un colpo solo.
Sì a tiro obbligatorio, no organo mediazione e carta dei valori
Sempre contro il parere della sinistra e in sintonia con la commissione, la maggioranza ha voluto mantenere il tiro obbligatorio per i cittadini incorporati. La sinistra non è riuscita nemmeno ad imporsi per quanto riguarda l’istituzione di un organo di mediazione e l’adozione di una carta dei valori. La maggioranza crede che i meccanismi attuali – reclami per la via di servizio o intervento del cappellano militare – si siano dimostrati validi. Una minoranza pensa invece che i soldati, in caso di problemi, debbano potersi rivolgere a un’istanza indipendente.
La maggioranza ha rinunciato all’introduzione di una carta dei valori vincolante – proposta cara alla sinistra, diffusa negli eserciti professionisti come indicato dal relatore della commissione Marco Romano (PPD/TI) – per tutti i soldati, giudicando sufficiente il regolamento di servizio. Romano ha sottolineato come il sistema di milizia, e il controllo sociale soggiacente, rappresenti già un elemento dissuasivo nei confronti di potenziali abusi.
La sinistra ha dovuto piegarsi anche quando ha proposto di limitare l’impiego dell’esercito in appoggio alle autorità civili in caso di catastrofe o per far fronte a compiti che le autorità civili non possono affrontare da sole in mancanza di mezzi appropriati o di personale specializzato
Esercito più piccolo e moderno per affrontare minacce attuali
Nel corso del dibattito sull’entrata in materia, la maggioranza dell’emiciclo si è detta a favore della riforma proposta che prevede un esercito più piccolo, ma meglio equipaggiato e pronto ad essere mobilitato rapidamente in caso di eventi eccezionali (35 mila soldati in dieci giorni e l’intero esercito in 20 giorni). La proposta di non entrata nel merito di Aline Trede (Verdi/BE) è stata respinta per 157 voti a 23. Per la deputata ecologista, governo e commissione tentano di vendere una modernizzazione dell’esercito che non merita tale appellativo. A suo avviso, alla base dell’intera riforma manca un’analisi seria sui pericoli alla nostra sicurezza. Per la consigliera nazionale bernese, bisognava avere più coraggio, tagliando ulteriormente nell’organico e nel budget (massimo 4,4 miliardi l’anno).
Per gli altri gruppi (PPD/PBD/Verdi liberali/PLR, UDC), 100 mila uomini rappresentano già una massiccia riduzione rispetto all’effettivo attuale. Questa diminuzione va compensata con un miglioramento dell’istruzione e dell’equipaggiamento per preservare la credibilità della difesa.
Diversi oratori hanno ricordato che, oltre alle nuove sfide alla sicurezza rappresentate dal terrorismo e dagli attacchi informatici, la situazione geopolitica in Europa è cambiata, come dimostra la crisi in Ucraina. Per Adrian Amstutz (UDC/BE), questo episodio, come anche gli attacchi terroristici a Parigi o le guerre in Siria e Iraq, hanno mandato in fumo “i sogni di coloro che credono nella pace perpetua”.
Anche i socialisti hanno sostenuto l’entrata nel merito, benché non in modo compatto. Per il PS, la Svizzera non è minacciata militarmente. I mezzi finanziari andrebbero meglio allocati per far fronte alle vere minacce, come la criminalità transfrontaliera, o i pericoli naturali.
ats