Raccontaci di te…
Mi chiamo Mario, sono nato il 25 aprile 1946 in un piccolo paese ai piedi del Pollino di nome Tarsia (cs), un paese piccolo, di 2500abitanti, ma ricco come territorio. L’80% della popolazione possedeva un fazzoletto di terra dove ne ricavava tutto il ben di Dio, per poter vivere discretamente.
Perché ha deciso di venire in Svizzera?
Nel 1959 mio fratello con mia sorella partirono per la Svizzera, mi ricordo come fosse oggi, non avevo mai visto mio padre e mia madre piangere. Quel giorno è stato il giorno più terribile della mia vita. Mio padre andò ad accompagnarli alla stazione per partire, mia madre si mise a lato della strada e li guardò finchè si vedevano, piangendo.
Negli anni sessanta ho detto a mio padre che anch’io volevo partire per andare dove erano mio fratello e mia sorella, si arrabbiò, mi disse che non era giusto che anche io partissi, lasciandoli con mio fratello di 11 anni, ma gli risposi che lì non ci sarei stato e che mi aveva promesso che appena avessi compiuto sedici anni mi avrebbe dato l’atto di assenso per il passaporto e così fu.
Ci racconti della sua partenza per la Svizzera…
Verso la metà di gennaio 1962 ricevetti il passaporto, dopo aver preso contatto con i miei fratelli, fu deciso di partire il primo febbraio 1962. Non vedevo l’ora di partire, per me quella non era vita, si viveva peggio del terzo mondo. Così arrivò il momento della partenza: quel giorno ci siamo alzati molto presto, mio padre prese l’asino e caricò le valigie, nel frattempo io salutai mia madre, che piangeva. Ci mettemmo in cammino, io e mio padre, con mio fratello che sarebbe dovuto tornare indietro con l’asino. Arrivammo alla stazione e dopo dieci minuti arrivò il treno. Mio padre mi accompagnò fino alla stazione di Castiglione Cosentino, dove dovevo cambiare treno, ma alla stazione, trovammo cinque paesani che andavano anche loro in Svizzera. Così mio padre fu più tranquillo e contento cisto che non sarei stato da solo. Salito sul treno abbassai il finestrino per salutare mio padre, e lo vidi piangere come un bambino, prima non l’avevo mai visto piangere.
Si ricorda il viaggio?
Era la prima volta che viaggiavo in treno. Una volta arrivati il doganiere ci chiese cosa portassimo, ognuno di noi rispose un po’ di tutto perché avevamo dei parenti in Svizzera. Ci chiese gentilmente cosa andassimo a fare, e aquando abbiamo risposto che andavamo a lavorare, ci disse di scendere per passare la visita medica: se si era idoneo si continuava, altrimenti bisognava tornare indietro. Ho depositato i bagagli e sono andato a fare la visita medica. Dopo due ore fu il nostro turno, per fortuna è andato a tutti e cinque bene. Tornati alla stazione di Chiasso, abbiamo dovuto aspettare il treno che andava a Zurigo.
Ha visto persone che sono dovute tornare indietro?
Purtroppo sì, in quella lunga attesa ho visto dei casi che non potrò mai dimenticare. La maggioranza in sala d’attesa eravamo del sud, gente che non era stata idonea alla visita medica, che piangeva perché sarebbe dovuta tornare indietro. C’erano anche parecchi dei nostri corregionali che avevano fatto il biglietto solo andata. In quel caso è stato bello scoprire la solidarietà fra di noi, ognuno di noi, infatti, ha dato un contributo per poter fare il biglietto di ritorno allo sfortunato corregionale.
E l’arrivo?
Ringraziando Dio, dopo circa 40 ore sono arrivato, sano e salvo, con i miei paesani. Quando siamo arrivati alla stazione ognuno di noi aveva un parente ad aspettarci, così ci salutammo tra di noi per raggiungere il nostro conoscente. Mio fratello e mio cognato presero le valigie, siamo andati dove abitava mia sorella: dalla temperatura della nostra amata terra, la Calabria, al freddo elvetico! Sono andato a letto stanco dal viaggio, non ho neanche cenato, all’indomani, uscendo fuori ho visto tutta quella neve, circa 25 cm che in quei miei 16 anni non avevo mai visto. Il freddo non lo sopportavo, ho chiesto a mio fratello se la temperatura fosse sempre così, mi rispose di sì fino alla fine di marzo, e poi era migliore, mi chiese il perché e io gli risposi che se fosse stato sempre così freddo, sarei tornato a casa!
Con il lavoro come si è trovato?
A marzo incominciai a lavorare come stagionale in una segheria. Il lavoro era duro e sporco, la paga era Fr. 1.25 all’ora per dieci ore al giorno. Per fortuna successivamente mio cognato mi trovò lavoro in una fabbrica, con un contratto annuale, devo dire di essere stato fortunato.
A gennaio incominciai il mio nuovo lavoro, in una fabbrica di salotti. Il lavoro ero buono e pulito, la paga Fr. 2.50 all’ora, abitavo a Siebnen con mio fratello e due suoi amici, eravamo in quattro, in due piccole camere, cucina e bagno, senza riscaldamenti, sotto di noi abitava una signora anziana che aveva la stufa a legna, finché lei non andava a letto da noi non c’era anche caldo… quell’anno ricordo che congelò il lago.
Qual è stato il periodo più brutto?
Gli anni più duri furono dal ‘62 al ‘68. Non si capiva la lingua, bisognava fare segno con le mani, ma poi oltre questo bisognava subire umiliazioni di tutti i tipi, quelle brutte parole quando entravi in un ristorante oppure per le strade “cing”, per noi quella parola era come “zingaro”. Diversi ristoranti sulla porta scrivevano: “Zutritt für Hunde und Italiener verboten” (Accesso vietato a cani e italiani), in questi lunghi anni diversi litigi, diverse multe pagate alla polizia, come anche diversi danni fatti in quei locali da noi frequentati, ogni fine settimana succedeva qualcosa.
Negli anni ‘60 vicino la Casa d’Italia a Zurigo è stato ucciso un italiano a calci e pugni, loro erano tre invece il nostro connazionale era solo. Quello che mi faceva rabbia era che se tu solo incontravi anche l’altro solo, non succedeva nulla, allora abbiamo dovuto anche imparare ad uscire in gruppo. In collaborazione con i sindacati, nascevano le prime associazioni regionali, fu una grande battaglia, sofferta dalle ingiurie ricevute, ma ne siamo fieri e orgogliosi che abbiamo consegnato alla seconda, terza e quarta generazione, degli anni diversi da come li abbiamo trascorsi noi.
Per fortuna la sua vita e quella degli altri connazionali è cambiata…
Precisamente dal 1969 la mia vita cambiò: mi sono sposato, ho 5 figli, quattro femmine e un maschio, nel 1972 mi scrissi in una delle prime associazioni regionali calabresi in terra elvetica, nel 1974 sono stato eletto presidente e lo sono tutt’ora.
Voglio ringraziare di vero cuore tutta la redazione de La Pagina, spero che questa mia storia venga letta in particolare dai giovani, così che possano capire i sacrifici che abbiamo affrontato per far sì che oggi sia tutto diverso.