Dalla cima del Monte Gorzano per osservare, dall’alto, Amatrice, Accumuli, i resti di villaggi di un mondo gioioso e che fu
Amatrice, conoscerti senza mai esserci stato. Amatrice, come l’ha descritta, tante e mille volte, Enrico, negli incontri serali con i nostri emigrati del Rodano Alpi e della sua capitale, Lione. Amatrice, ascoltavi e già la amavi, tanto era dolce udire i racconti di Enrico e dei suoi valligiani.
La nostalgia che leggevi nei loro occhi quando, avvicinandosi l’estate, sapevano di non poter fare ritorno al villaggio natio, riabbracciare i parenti, gli amici di un tempo, dare un contributo al successo della sagra, alzare il “verre de l’amitié” come s’usa fare nella nuova patria dei galli, scalare la cima del Monte Gorzano per scorgere le valli aquilane e umbre, laggiù, celate da una velata foschia di un afoso mattino agostano.
Amatrice, come l’ha descritta, Massimo, l’amico barbiere della camera, ogni qualvolta – tre, quattro volte l’anno-ti presentavi per accorciare i capelli ormai tendenti verso il grigio a indicarti il lungo, lento cammino del tempo e di vita vissuta. Sì, caro Massimo, rammento ogni racconto, ogni frase o facezia. Come quella su un certo presidente del calcio nostrano, da Amatrice disceso per vincere la sfida nell’Urbe tra chi è più forte a calciare la palla, il romano di Roma o il burino venuto da fuori a sfidare il plebeo dei cesari e dei papi.
Esilarante il racconto dell’ancor presidente di fronte al piattone dei mitici spaghetti all’amatriciana.
Di come egli insozzi la bianca camicia nel mentre si appresta a ingoiare il fumante boccone, udendo il racconto dell’imberbe vicino di tavolo sull’ultimo guizzo di Totti, l’odiato nemico che infierì più volte nel tempio di olimpia con colpi fatali.
Massimo, sappi che io sono con te. A piangere il babbo e la madre sepolti dal crollo dell’umile dimora ove sognarono di vivere a lungo attorniati dall’amore di figli e nipoti.
La casetta che tu rinnovasti nel tempo e a cui accedevi nei periodi di pausa romani, ha resistito alla furia del demone salito dal buio dell’Ade a devastare Amatrice, Accumuli, i villaggi vicini.
E così hai potuto salvare i tuoi figli e la moglie adorata per poter, tutti assieme, salire alla tomba che accoglie le spoglie dei vostri più cari, versare la lacrima del tanto dolore che è pur anche seme di vita, di una nuova speranza.
Amatrice, o ciò che non è più dopo quel maledetto 24 agosto del mese che fu.
Fra i tanti che accorsero per portare un aiuto, un conforto, si aggirava, scrutando macerie e relitti terrestri, il piccolo uomo venuto dalla terra che trema ogni ora, l’ingegnere Murosaki, del sole levante.
Da noi, egli disse, un sisma di tale portata, non crea alcun grave problema poiché abbiamo saputo domare, studiando le mosse, la forza omicida del mostro.
La cultura della prevenzione, ancora e quasi totalmente assente alle nostre latitudini, in una terra, dal nord carnico al sud isolano, secolarmente devastata da distruttivi movimenti tellurici.
Uno spettacolo indecoroso, l’immagine delle macerie di una scuola, una palestra sportiva, un albergo, da poco costruiti, ma che non hanno resistito alla furia del sisma.
E da lassù, ferito, ma tuttora eretto, li osserva la torre del campanile costruita dal genio dell’uomo in un tempo remoto.
E non vorremmo vivere l’ora del prossimo sisma, in un posto qualunque del suolo patrio, e apprendere la notizia dell’apertura dell’ennesima inchiesta sulla natura di crolli inattesi, la solidità degli edifici, il mancato utilizzo del calcestruzzo e dei ferri adeguati alla realtà della zona tellurica. Le concessioni, clientelari e criminali, di costruire, su fondazioni di vecchi edifici, moderne e pesanti strutture che non hanno retto al primo starnuto del mostro. Le inchieste, i controlli si fanno durante le ristrutturazioni. Maledizione! Non dopo.
Oggi, piangiamo i trecento morti di una terra arcigna e ingrata.
Non sono numeri. Sono affetti. Speranze deluse. Gioie spezzate. Sudori. Sacrifici. Racconti di vita. Storie di cuori intrepidi che seppero sconfiggere la nostalgia della lontananza costruendo il loro avvenire nelle terre del mondo oltre le alpi e il mare.
Tanti di loro sono tornati, dopo il 24 agosto. Nulla hanno trovato, se non lo spazio e il tempo per gettare lo sguardo su un cumulo di ricordi sepolti nel nulla.
Forza Errani! Ricostruisci con sentimento, passione civile e umana.
È l’ora della responsabilità.
E che il vento porti seco i tristi pensieri.
Domani è un altro giorno.