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22 November 2024
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Interviste

Dobbiamo continuare a promuovere le nostre eccellenze!

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Berna: il Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, apre la mostra sul marchio italiano

Lo scorso mercoledì 19 ottobre, in occasione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, si è tenuta l’inaugurazione della mostra “Il Museo del Marchio Italiano”, alla presenza del Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso. L’Ambasciatore d’Italia, Marco Del Panta, ha aperto la serata sottolineando come questa sia stata “concepita nell’ambito della Settimana della Lingua Italiana, e ci tengo a dsc_0045dire – ha aggiunto – che questa viene organizzata qua in Svizzera, insieme alle autorità svizzere”. Del Panta ha inoltre ribadito che “la lingua italiana è un patrimonio nostro, ma anche della Confederazione”.
A proposito della mostra, dove è esposta una documentazione visiva basata su un’accurata ricerca storico-grafica sull’evoluzione, il cambiamento e il restyling dei principali marchi italiani, l’Ambasciatore Del Panta ha poi detto che: “I marchi industriali italiani sono anche una espressione di design e quindi questo museo li riunisce e mostra l’evoluzione storica di questi marchi, che rappresentano anche un po’ l’evoluzione della storia economica del nostro paese. Se l’Italia, nel secondo dopoguerra, da paese essenzialmente agricolo è diventata una potenza industriale, lo si deve anche alle imprese che sono esposte qua stasera e che hanno avuto un’evoluzione notevole e continua, finora, e l’evoluzione del marchio parla espressamente dell’evoluzione di queste società e anche del paese”.
L’inaugurazione della mostra si è tenuta alla presenza del Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, che si è dichiarato molto felice di poter aprire la sua prima visita ufficiale da Presidente del Senato in Svizzera.
Parlando della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, poi, il Presidente Grasso ha voluto sottolineare che: “La nostra lingua, come ha detto il presidente Mattarella oggi a Firenze, è un qualcosa che deve andare avanti, parallelamente a quello che è il sistema Paese, dsc_0036dobbiamo collegare la diffusione della lingua come formazione e come possibilità di diffondere la cultura italiana con la sponsorizzazione del nostro sistema Paese. È questo un traguardo molto importante e mi fa piacere essere qui proprio in questa settimana”.
“In un momento di crisi come quello che viviamo in Europea, i conflitti ai nostri confini, il terrorismo, la crisi economica la caduta demografica, il problema dei flussi dei migranti o dei rifugiati, rafforzare i nostri legami è importante – ha detto il Presidente Grasso per quanto riguarda invece il legame tra la Svizzera e l’Italia – perché noi abbiamo dei legami che io ritengo indissolubili. Insieme possiamo avere benessere e sicurezza, quindi è molto importante continuare su quella strada, rafforzare questi legami, e noi speriamo che le rispettive istituzioni dei nostri Paesi possano proseguire con saggezza, cercando di preservare quella che è la libera circolazione in questo bellissimo paese e cercando di proteggere il lavoro di tanti lavoratori”.
Dopo aver dichiarato ufficialmente aperta la mostra, insieme all’Ambasciatore, il Presidente Grasso ha poi consegnato le onorificenze a Lolita Malagutti, alla Prof.ssa Paola Scampoli e al Maestro Elvino Arametti.

 

dsc_0064Abbiamo avuto l’occasione di porre alcune domande al Presidente Grasso

Presidente Grasso, come si proteggono e si promuovono al meglio, secondo Lei, la cultura e la lingua italiana fuori dai confini italiani?
L’idea della Settimana della lingua italiana nel mondo è nata per celebrare la straordinaria bellezza del nostro idioma e sottolinearne la naturale vocazione internazionale, come lingua di formazione e trasmissione della cultura. Dalla poesia alla lirica, dalla prosa alla musica contemporanea, l’italiano da sempre è un formidabile strumento di dialogo culturale e di espressione artistica ai più alti livelli. Nella nostra lingua si sente la storia millenaria dell’Italia, crocevia di persone, culture e civiltà.
Proprio qui in Svizzera, dove l’italiano è una delle lingue ufficiali, esso rappresenta un ponte ideale fra le comunità italiana ed elvetica, a sottolineare la vicinanza non solo geografica tra i nostri Paesi. La lingua come simbolo dell’identità italiana nella cornice del plurilinguismo è una testimonianza che il multiculturalismo è possibile e necessario per affrontare le sfide del futuro.
Dobbiamo insieme continuare a promuovere senza fermarci le nostre eccellenze, da quelle legate alle produzioni di qualità o ai marchi, come abbiamo avuto modo di osservare alla Mostra “Il Museo del Marchio Italiano“, a quelle legate ai tanti ricercatori, professionisti, esperti che qui svolgono la propria attività.

Non solo la cultura ma anche la politica ci riguarda, infatti, anche noi italiani residenti all’estero a dicembre, saremo chiamati alle urne per dare il nostro parere al referendum costituzionale, quanto sono importanti le nostre voci?
Lo sono moltissimo, soprattutto in questo momento in cui la disaffezione per la politica si esprime soprattutto con un allontanamento al momento del voto, che si traduce in un aumento dell’astensionismo. Non è un caso che in vista del prossimo referendum si siano intensificati gli sforzi dei diversi comitati per il coinvolgimento degli elettori italiani all’estero. Ogni singolo voto conta, quindi invito tutti i lettori de “La pagina” ad informarsi in maniera approfondita e a scegliere consapevolmente.

Lei è stato procuratore nazionale antimafia ed ha anche condotto un programma, ‘Lezioni di Mafia’ nel quale trattava i segreti di Cosa Nostra: come racconterebbe ai giovani italiani nati e cresciuti all’estero il fenomeno mafioso in Italia?
La racconterei così. Un tempo era una società segreta unitaria e verticistica, manovrata da una “cupola”, un organo di vertice, nata per gestire affari illeciti e mantenere il controllo del territorio, anche attraverso una rete di fiancheggiatori che gli consentiva di infiltrarsi nel tessuto economico, sociale e politico. Per ottenere consenso Cosa nostra si sostituiva allo Stato nel soddisfare alcuni bisogni primari della comunità, fornendo denaro, lavoro, solidarietà e protezione. In cambio pretendeva la rinuncia assoluta alla libertà e imponeva le regole della fedeltà, del silenzio, dell’omertà, della complicità, dell’obbedienza anche a rischio della vita.

Che differenza c’è tra la mafia delle stragi degli anni ’90 e quella di oggi? E come descriverebbe il ruolo dello Stato in tutto ciò?
La mafia senza abbandonare la tradizione si adegua alla modernità: questa capacità di trasformarsi ne fa un’organizzazione criminale unica al mondo. Oggi si è dotata di strumenti tecnologici sofisticati, che ha esteso le proprie ramificazioni nei settori più vari e in molti Paesi del mondo. La mafia tradizionale, mi riferisco in particolare all’organizzazione siciliana “Cosa nostra”, era caratterizzata dall’uso brutale della violenza, delle stragi e dell’intimidazione: forme di attacco allo Stato e alle istituzioni e strumenti per controllare il territorio e la società.
Oggi possiamo dire che l’azione dello Stato in Sicilia ha avuto successo. La magistratura e le forze di polizia hanno destrutturato le compagini mafiose, condannando al carcere a vita gli esponenti più importanti e pericolosi dell’associazione e confiscando i capitali frutto dei delitti. Quelle di oggi sono mafie più silenziose, che sparano meno e si occupano di affari, che investono nell’economia legale. Mafie più difficili da contrastare perché si insinuano nella società e nell’economia in modo invisibile. Queste nuove mafie trovano terreno fertile anche in territori non tradizionali, come il nord e centro Italia e il resto dell’Europa, perché usano la corruzione, la collusione e la coincidenza di interessi.

Tanti connazionali in Svizzera, sono ormai di seconda e terza generazione e vivono quindi tra queste due culture, quella italiana e quella svizzera, qual è il messaggio che dà a questi giovani?
Da quanto ho avuto modo di comprendere dopo questo primo contatto con voi e la Svizzera, gli italiani sono una parte costitutiva importante di questo Paese: ormai in alcuni casi alla quarta generazione, siamo la comunità straniera più consistente e io penso più vitale della Confederazione.
Le nostre persone, le nostre aziende, i nostri lavoratori altamente qualificati sono radicati in questo sistema produttivo e ne sono spesso l’anima e il motore. So che molti hanno anche la cittadinanza elvetica, a riprova dell’elevato tasso di integrazione.
Io però credo che la storia non si debba dimenticare. Penso al dolore delle tragedie che hanno coinvolto i lavoratori italiani emigrati in Svizzera tra il 1947 e il 1970: mi riferisco ai fatti drammatici del Gottardo, del Sempione, del Lötschberg, del Mattmark: quest’ultimo un episodio fra i più gravi che hanno segnato la storia del contributo dell’emigrazione italiana al miracolo economico della Svizzera. Noi dobbiamo trasmettere la memoria di quegli eventi ai giovani perché sappiano quale fatica, sofferenza e sacrifici hanno portato gli italiani emigrati in questo Paese a diventare una componente straordinariamente vitale della società e dell’economia elvetica.
Se oggi tanti giovani italiani possono scegliere la Svizzera come meta per gli studi universitari, i corsi di perfezionamento, la specializzazione professionale è anche grazie all’impegno dei tanti italiani che lo scorso secolo hanno contribuito in prima persona allo sviluppo economico, sociale e civile di questo Paese.
Nel momento di crisi e paura che vive l’Europa (per i conflitti ai nostri confini, il terrorismo, la crisi economica, la caduta demografica, i flussi di migranti e di rifugiati) io sono fermamente convinto che il legame fra i nostri popoli sia da preservare e rafforzare. Il nostro benessere e la nostra sicurezza sono legati indissolubilmente. E sono certo che le rispettive istituzioni politiche sapranno agire con saggezza, preservando la libera circolazione delle persone e la parità di trattamento dei lavoratori.
Manuela Salamone

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