In occasione della Festa delle Donne vi raccontiamo la storia di alcune di esse che hanno lottato per la salvaguardia dell’ambiente
Forse in pochi le conosceranno ma così come scienziate, letterate, politiche o imprenditrici determinanti nel loro settore e per questo famose, ci sono anche donne che hanno lavorato e ottenuto risultati salienti nella salvaguardia dell’ambiente, alcune anche a costo della vita, come Berta Caceres, uccisa il suo impegno ambientalista: ecologista indigena honduregna, nel 1994 fondò il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene (Copinh), un’associazione dedicata alla difesa dell’ambiente e, in particolare, dei fiumi, considerati sacri dal suo popolo.
Nel 2015 ottenne il massimo riconoscimento mondiale per le lotte ambientaliste, il Premio Goldman, in particolare per la campagna di salvaguardia ambientale con cui è riuscita ad evitare la costruzione della diga Agua Zarca sul Río Gualcarque: a suo parere lo sbarramento sul fiume poneva a rischio l’approvvigionamento di acqua, alimenti e medicine di centinaia di indigeni, ignorando il loro diritto ad una gestione sostenibile del loro territorio. Berta ha diretto diverse campagne su molteplici temi tra cui la deforestazione illegale, la proprietà terriera e la presenza di basi statunitensi sulla terra dei Lenca.
Condusse anche battaglie a proposito di femminismo, diritti della comunità LGBT e altre tematiche di carattere sociale ed indigeno. Il 28 giugno 2009 la Commissione Interamericana dei diritti umani la incluse nella lista di persone in pericolo di vita durante il colpo di stato in Honduras. Vittima per anni di una campagna di minacce e intimidazioni a causa della sua lotta ambientalista è stata uccisa nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016. Uno dei motti preferiti di Berta era: “Loro hanno paura di noi perché noi non abbiamo paura di loro”.
Continuiamo con Wangari Muta Maathai ambientalista, attivista politica e biologa keniota che nel tentativo di alleviare la povertà della gente del suo Paese creò progetti su base comunitaria per offrire occupazione e migliorare l’ambiente.
Nel giugno del 1977 piantò sette alberi in memoria degli eroi nazionali del Kenya: questa semplice iniziativa dette progressivamente vita ad un movimento che prese il nome di “Greenbelt Movement”, il movimento della Cintura Verde. Negli anni a seguire questo movimento nazionale crebbe tanto che nel 1992 oltre 50.000 donne avevano piantato più di dieci milioni di alberi in Africa salvando così migliaia di acri di crosta terrestre. Questa forte campagna di sensibilizzazione verso i problemi della natura e del disboscamento in particolare, si diffuse dal Kenya in altre nazioni e oggi ha associati in tutto il mondo.
Nel 2004 Wangari Muta Maathai è diventata la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace per ‘il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace’. Il 10 febbraio 2006 ha partecipato alla Cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, portando per la prima volta nella storia la bandiera olimpica insieme ad altre sette celebri donne. Malata di tumore da lungo tempo, è scomparsa nel settembre 2011. Passiamo in India ricordando le battaglie di Vandana Shiva, attivista politica e ambientalista che ha dedicato i suoi studi all’ecologia, battendosi per la biodiversità, in particolare legata all’alimentazione, alle risorse locali delle comunità e ai semi autoctoni in via di estinzione a causa della diffusione delle coltivazioni industriali. Si è anche battuta per cambiare pratiche e paradigmi nell’agricoltura e nell’alimentazione; si è occupata anche di questioni legate ai diritti sulla proprietà intellettuale, alla biodiversità, alla bioetica, alle implicazioni sociali, economiche e geopolitiche connesse all’uso di biotecnologie, ingegneria genetica e altro.
Criticando le politiche di aiuto allo sviluppo attuate dagli organismi internazionali, indicò nuove vie alla crescita economica rispettose della cultura delle comunità locali, denunciando le conseguenze disastrose che il cosiddetto “sviluppo” portava nel Terzo Mondo: la massiccia distruzione ambientale e un enorme indebitamento. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, il Premio Nobel alternativo. Per promuovere il suo pensiero viaggiò molto nel mondo, e giunse anche in Italia, dove ha partecipato a diverse trasmissione televisive, tra le quali ‘Parla con me’ di Serena Dandini, ‘Che tempo che fa’ di Fabio Fazio e ‘Ballarò’. Tra le battaglie che l’hanno resa famosa anche in Europa, vi è quella contro gli OGM e la loro introduzione in India.
Attualmente è la vicepresidente di Slow Food e collabora con la rivista di Legambiente La Nuova Ecologia. Per chiudere ricordiamo la storia di Dian Fossey, etologa appassionata di gorilla che si recò in Africa per studiarne il comportamento e l’organizzazione sociale.
Abituò i gorilla alla presenza umana, imitandone i comportamenti e le voci. Il successo dell’impresa scientifica non impedì tuttavia a parte della popolazione locale di continuare ad esercitare una pressione venatoria su questi animali. Quando i cacciatori uccisero un giovane maschio cui Dian era particolarmente affezionata, lei reagì con una imponente campagna pubblica di sensibilizzazione. La pubblicazione del volume ‘Gorilla nella nebbia’ focalizzò l’attenzione sui rischi di estinzione dei gorilla delle montagne. Sacrificò la sua vita nella lotta contro i bracconieri: fu trovata uccisa a colpi di machete il 26 dicembre 1985.