Raccontaci di te…
Mi chiamo Antonio Pupino, sono italiano, e per la precisione lucano, di Venosa, una cittadina in provincia di Potenza. Italiano di estrazione ma non di nascita, essendo venuto alla luce 48 anni fa nella Frauenklinik di Zurigo. È nella ridente cittadella lucana, infatti, ove – ancor poppante- fui condotto dai miei genitori, dove trascorro i miei primi dodici anni di vita.
Un periodo relativamente spensierato, che stava per chiudersi con un evento che avrebbe cambiato decisamente il corso della mia esistenza. Siamo agli inizi degli anni ‘80 e la crisi di lavoro è tale che la mia famiglia si vede costretta a trasferirsi di nuovo in Svizzera, nel Canton Zurigo. Mi ritrovo adolescente, catapultato nella sfavillante Zurigo, o almeno tale sembrava agli occhi di un tredicenne che aveva visto pochissimo del mondo. Frequento il mitico Liceo Linguistico P.M. Vermigli e comincia uno dei periodi più belli della mia vita in quella che era una vera e propria enclave culturale italiana in territorio elvetico.
Dopo la maturità, farà seguito una laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Roma “La Sapienza”. A Roma conosco Elisabetta, la mia attuale moglie e madre dei nostri due bambini, Simone e Federico. Attualmente viviamo a Dietikon, io lavoro presso un prestigioso istituto finanziario elvetico e, nel tempo libero che Simone e Federico mi concedono, mi diletto con la pittura.
Che legame hai con la Svizzera?
Vivo quasi ininterrottamente da 16 anni in Svizzera ormai. Se aggiungiamo i cinque anni di liceo arriviamo a 21 anni, un quarto di un’esistenza media. Tantissimo. Eppure non posso dire di sentirmi pienamente parte di questa società.
All’inizio pensavo dipendesse da me. Ammetto di non essere uno che fa facilmente il primo passo verso l’altro. Ma poi ho capito che così non è, che per incontrarsi bisogna essere in due a volerlo. Per carità in Svizzera si vive benissimo, inutile elencare le eccellenze locali. Però culturalmente e per natura sento di essere profondamente italiano. Ci capiamo quando parliamo lo Schweizerdeutsch, ma l’italiano rimane il mio miglior mezzo espressivo.
Quali sono, invece, i rapporti che ti legano all’Italia?
Il legame col mio Paese è fortissimo. Ma è un rapporto di amore e odio. Come si fa, infatti, a non amare il Paese che custodisce il 70% del patrimonio artistico e culturale mondiale, quello in cui quasi ogni città è un museo a cielo aperto? Come si fa a non odiare lo scempio che alcuni italiani ne fanno quotidianamente?
Dell’Italia mi manca la rara bellezza dei suoi paesaggi, i suoi profumi, la sua luce.
Prima hai accennato alla tua passione per l’arte. Come nasce?
L’arte è creatività, è ciò che più ci avvicina al “Massimo Fattore”, per dirla con Dante. È anche possibilità di astrarre dalla realtà, uno strumento di evasione dal quotidiano.
Sia per chi ne fruisce, ma soprattutto per chi la fa. Ma è anche applicazione, manualità, e soprattutto espressività. Tutto questo, e non solo, mi avvicina all’arte e in particolare alla pittura che è stato un hobby che ho coltivato con passione fin da bambino, con un certo talento, mi dicono, fino ad arrivare alla realizzazione di una mostra.
Parlaci di questa tua mostra…
Questa mostra nasce da un’idea mia e della collega di corso Freweyni Tewelde, grazie al contributo del nostro maestro nonché conosciuto pittore svizzero Marc Elsener e alla disponibilità del gallerista zurighese Urs Meier che ci ha messo a disposizione gli spazi.
È scaturita principalmente dalla voglia di condividere la nostra arte con gli altri. E non voglio aggiungere di più poiché conto sulla curiosità dei lettori di quest’articolo e sulla loro presenza.