Ieri e oggi: in “Non ho l’età” il regista Olmo Cerri ci regala una visione molto toccante su quattro storie di migrazione
“Non ho l’età”: è il ritornello che ha commosso una generazione intera di migranti e ora è il regista Olmo Cerri a riprendere queste emozioni nel suo documentario che s’intitola proprio come la canzone che rese celebre Gigliola Cinquetti dopo la vittoria del Festival di Sanremo 1964. Carmela, don Gregorio, Gabriella e Lorella non si conoscono, ma hanno molto in comune. A metà degli anni Sessanta, al culmine della grande ondata migratoria, da soli o insieme alle loro famiglie, sono arrivati in Svizzera, dove hanno vissuto per un periodo più o meno lungo. E cosa c’entra la Cinquetti? In Svizzera, i quattro protagonisti hanno vissuto gli anni difficili di Schwarzenbach ascoltando la giovanissima cantante veronese. Grazie al suo aspetto rassicurante, Gigliola fece breccia nel loro cuore, come in quello di tantissimi altri migranti nel mondo: tra il 1964 e il 1979, Gigliola Cinquetti riceve dai suoi fan sparsi per il mondo oltre 140’000 lettere. Una bandiera di quell’Italia di un tempo, ormai alle loro spalle, e diventata oggetto di vera e propria venerazione, al punto di essere sommersa da migliaia e migliaia di lettere. Quattro di queste, giunte intatte ai giorni nostri, scritte da Carmela, don Gregorio, Gabriella e Lorella parlano proprio di loro e della loro avventura di “migranti”.
“La tematica di questo documentario tocca profondamente le mie corde e si inscrive nel mio più ampio progetto operativo e di ricerca – spiega Olmo Cerri – Come interagiscono storie individuali personali e storia collettiva? Come le scelte politiche di una Nazione vanno a influenzare i percorsi esistenziali dei singoli? Penso che questo tema, sicuramente già esplorato da molti altri registi in opere di indubbio valore, se affrontato da un punto di vista nuovo e originale, come quello che ci proponiamo di offrire con questo nostro lavoro, possa fornire materiale di riflessione e spunti importanti per lo spettatore, anche (e soprattutto) oggi”. Inoltre il regista crede che il film “possa anche fornire una nota di speranza. Nonostante le difficoltà, nel giro di una generazione o due, l’integrazione è possibile. E i migranti possono diventare elementi di ricchezza, a tutti gli effetti, per la società di accoglienza”.