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22 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Nostalgia e ricordi di giornate particolari

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Gli ottanta anni della Casa d’Italia di Berna

La giornata non inizia sotto i migliori auspici. Una sbirciata oltre le fessure della tapparella. Un cielo grigio. Plumbeo.  Il ciliegio lì accanto è spoglio di quella che fu, sino a poche ore prima, la ricchezza fiorita di tarda primavera.

Quell’albero ha scandito per anni l’orologio dei miei doveri settimanali.

Lo scorgevo alle cinque del mattino, mentre mi allontanavo da casa per il primo treno verso l’aeroporto, destinazione Roma: il parlamento, le commissioni esteri e politiche dell’Unione europea, ove svolgevo i quotidiani impegni di deputato della repubblica. Oppure al ritorno, in un qualsiasi venerdì verso la mezzanotte, dopo avere lasciato Roma, e assistito, scandalizzato, all’ultima carnevalata (leghista – grillina) contro i governi (Letta-Renzi-Gentiloni) della precedente legislatura.

Nella fioca luce del primo mattino di fine giugno, avevo notato accenni di colore su quelle ciliege aggrappate ai peduncoli nella speranza di evitare la violenza del temporale estivo che le avrebbe strappate al loro habitat prima del trionfo rosso scuro della maturità.

Nel gelo dicembrino, l’albero, spoglio di ogni segno vitale, appariva in tutta la sua triste nudità. Come se, stanco di esistere, avesse abbandonato al destino ogni speranza di riapparire a primavera nello splendore del verde di una vita che rinasce.

Ogni cosa, anche in natura, ha un inizio e la sua fine.

E forse, il ciliegio, fra pochi giorni o settimane, verrà abbattuto perché di intralcio ai lavori di costruzione di una nuova palazzina poco più in là ove prima pascolavano alcune pecorelle e caprette nane del maso. Ascolto le notizie con la tristezza dell’ex.

Nulla di nuovo sotto la nube che avvolge il pizzo dell’Etzel per irrorarlo della pioggia che cade a catinelle, ingrossando il torrente che scorre dalla montagna vicina per andare all’abbraccio del suo lago.

I due falsi Masaniello (Matteo Salvini e Luigi  Di Maio) replicano la loro commedia senza fine.

L’ultima: la staffetta per la Presidenza del Consiglio, come per la bocciofila del villaggio vicino.

Il guaio: non si tratta del pallino ma del futuro dell’Italia.

Talvolta, combatto la nostalgia partecipando a qualche ricorrenza di prestigio.

L’ottantesimo della Casa d’Italia a Berna. Scorro il libro edito per celebrare una grande storia.

Macchie colorate di momenti importanti della vita sociale e politica della comunità italiana.

Scorgo il Presidente Sandro Pertini in più foto in bianco e nero (le mie preferite, perché lasciano lo spazio ai voli della fantasia), attorniato da una folla festante.

I volti dei nuovi e vecchi presidenti della Casa.

“Un quando c’era Berlinguer”, con quel volto sorridente e pur ammantato da un filo di permanente tristezza, Antonio Bassolino,  l’ambasciatore d’Italia, Marco Del Panta, Walter Veltroni e Cosimo Titolo, l’uomo che ha fatto della Casa d’Italia il luogo del suo eterno operare per la comunità italiana, Emirano Colombo, l’amato Presidente che non è più.

E tanti altri, di ogni epoca storica e politica. Della Casa d’Italia ho un simpatico ricordo risalente alla mia gioventù. Quindici giorni di permanenza nella capitale Svizzera.

Scopro, grazie ad alcuni connazionali conosciuti in un caffè vicino alla stazione, l’esistenza del ritrovo italiano.

È domenica, 3 settembre 1961, allietata, pur in una giornata fredda e piovosa come un tardo autunno italiano, dal suono delle tante campane.

Mi avvio verso la Casa, maledicendo tutti gli dei dell’olimpo per la pioggia battente.

Un folto gruppo di connazionali osserva le immagini in bianco e nero dei ciclisti impegnati nella competizione – acuita da una tempesta da tregenda – del campionato mondiale di ciclismo su strada.

Un uomo solo è al comando, Nino Defilippis, già pupillo del grandissimo Coppi.

Pochi chilometri per raggiungere il sogno.

Maledizione! Un’ombra! Il belga Rik Van Looy lo raggiunge e lo schianta come fece la saetta con il pino sul costone della montagna nella valle dello Spluga.

Fra il pubblico, un professionista della carta stampata, giornalista della Gazzetta dello Sport.

Ha passato la giornata al caldo tepore della Casa, allietata dai profumati spaghetti al pomodoro italiani.

Lessi, il lunedì successivo, la cronaca sportiva dell’eroico reporter nella tempesta del Nord.

La musa di Omero gli fu amica. Il racconto, frutto di una straordinaria magia creativa, ideò il dramma di Defilippis, il Cit (piccolo) italiano, e creò la leggenda.

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