Un impianto sperimentale è stato installato per il riciclaggio degli assorbenti in Veneto
Petrolio o additivi? No, stavolta sotto accusa ci sono i pannolini per neonati il cui consumo per i primi tre mesi di vita è stimato ad una cifra di circa 5000 pezzi infatti solo in Italia coprono il 27% dei rifiuti solidi con 900 mila tonnellate che non possono essere inseriti nella raccolta differenziata. E l’impatto con l’ambiente è significativo. Secondo le statistiche, con circa 500mila pannolini raccolti presso asili e ospedali sarebbe possibile evitare la produzione di ventimila tonnellate di anidride carbonica prodotta dall’incenerimento degli assorbenti stessi nei consueti impianti di smaltimento.
Ad una soluzione ci ha pensato una lungimirante azienda veneta (di Vedelago in provincia di Treviso) che è destinata a portare avanti un nuovo modo di pensare al riciclaggio: da qualche mese è stato installato il primo impianto per trasformare i pannolini sporchi creando materiali alternativi di seconda produzione.
L’impianto, una tecnologia costruita negli Usa sotto la supervisione dei progettisti veneti dal costo di cinque milioni di euro, avrà il compito di realizzare la prima filiera completa per il recupero totale di questi assorbenti scontrandosi, suo malgrado, con la lenta macchina della burocrazia italiana che polemizza sulla mancanza di una normativa per lo smaltimento dei pannolini. E non essendoci un disciplinare a cui appellarsi, i problemi burocratici per questo impianto sono stati parecchi e tempisticamente sconsolanti.
In effetti, l’impianto sperimentale prevede la trasformazione di parte dei materiali provenienti dagli assorbenti trasformandoli in materia prima seconda quindi non più classificabile come rifiuto; purtroppo è necessario una integrazione alle direttive comunitarie per far accettare dal Ministro per l’ambiente questi prodotti che cessano di poter essere definiti rifiuti. Un problema di termini e classificazioni insomma.
Tornando all’impianto, il brevetto consiste nel produrre granuli di plastica e materia organica-cellulosica, completamente sterilizzati grazie all’uso del vapore ad altissime gradazioni. Il risultato sarebbe che da una tonnellata di pannolini e assorbenti usati si potranno produrre 75 chilogrammi di plastica e 225 chilogrammi di materia organico-cellulosica in un complesso processo industriale. Il sistema di stoccaggio dei rifiuti dell’impianto veneto è in grado di contenere fino a venti tonnellate di prodotto; il trasferimento dei rifiuti viene attraverso un nastro trasportatore fino ad arrivare ad un’autoclave nel quale vengono sterilizzati i prodotti e conseguentemente inviati alle stazioni di separazione di plastica e cellulosa fino ad arrivare a componenti da utilizzare come materie prime industriali in vari settori, per esempio in quello tessile di fabbricazione della viscosa e del rayon. Ma quali potrebbero essere gli altri usi di questo secondo materiale? Arredi urbani, cartoni per imballaggi industriali, lamiere per i tetti fertilizzante e tanti oggetti di uso comune.
L’alternativa sarebbe quella di iniziare a produrre in quantitativi maggiori pannolini totalmente biodegradabili con cotone biologico (soprattutto per la linea femminile) senza parti in plastica, o componenti schiariti con acqua ossigenata, praticamente totalmente compostabili. Purtroppo fino ad ora, i prodotti di questo tipo non sono competitivi in termini di utilizzo come quelli di uso comune nè come praticità nè come prezzi al consumatore. E tornare ai vecchi ciripà rimessi nel mercato dell’ecosostenibile è, sicuramente una buona scelta ambientale, ma di poca comodità.