Il conto è presto fatto: sono oltre 700 mila gli italiani affetti da epatite B cronica e almeno la metà non sa di aver contratto l’infezione. Di questi ‘ignari’ 350 mila, la metà, presenta un’epatite cronica attiva e l’altro 50% progressiva. Questo vuol dire quasi 200 mila persone a rischio cirrosi epatica.
“Ecco il messaggio da trasferire sul territorio”, dicono gli esperti, medici ed infettivologi che si sono riuniti a Roma per presentare la seconda edizione di una campagna che scende in strada proprio per raggiungere la gente, informandola su rischi, prevenzione e terapie.
È “Epatite B: il tour”, la prima campagna itinerante sulla patologia realizzata dall’Associazione italiana per lo studio del fegato, insieme alla Società italiana di gastroenterologia, alla Società italiana di medicina generale e alla Società italiana di malattie infettive e tropicali, che fino al 20 aprile gireranno per tutta Italia, toccando 26 capoluoghi di provincia, da Bergamo a Palermo.
Due camper allestiti a postazione mobile sosteranno due o più giorni in diverse piazze e i cittadini potranno ricevere materiale informativo ed incontrare un medico specialista (epatologi, infettivologi e gastroenterologi).
Nell’edizione passata 15 mila i contatti diretti nel camper (di questi il 27%, circa 4 mila persone, hanno chiesto di poter parlare con i medici) e altri 15 mila cittadini hanno raggiunto il sito internet dedicato.
Nell’info point, allestito nelle piazze a pochi metri di distanza dai camper, sarà distribuito materiale informativo sul fegato, su come si contrae l’epatite B e su come ci si può difendere.
“Anzitutto con rapporti sessuali protetti – sottolinea il presidente della Simit, Evangelista Sagnelli – perché la via sessuale è la prima forma di contagio, sia rapporti etero che omosessuali”. Contatti ematici, aghi, siringhe, tatuaggi, piercing, rasoi e spazzolini da denti, le altre principali vie di trasmissione per uno dei più potenti agenti virali che colpiscono l’uomo, 100 volte più infettivo dell’HIV.
Alla virulenza si aggiunga poi il carattere asintomatico dell’infezione, che ritarda il momento della diagnosi.
Solitamente, l’epatite B, come altre malattie che provocano danno alle cellule epatiche, può essere sospettata nella fase acuta a seguito della presenza di ittero, bilirubinuria (color marsala delle urine) e anomalie nelle feci. Purtroppo, come già detto, questi segni evidenti di danno epatico possono mancare per tutta la lunga fase cronica di malattia, che può durare anche 20-30 anni; questo fa sì che né il medico né il paziente sospettino l’infezione e quindi ritardino le cure presso una struttura sanitaria.
Spesso presente è invece l’innalzamento delle transaminasi riscontrabile con un semplice prelievo ematico.
Le categorie più attaccate dall’epidemia sono gli over 30 che non hanno subìto la vaccinoterapia dovuta dei primi anni ’90.
Tra gli individui che acquisiscono l’agente patogeno dell’epatite B, circa il 90% manifesta un’infezione acuta, il 10% una forma incurabile che può essere motivo di conseguenze gravi.
In Italia, dal 1991 il vaccino contro l’epatite B è incluso nella lista delle vaccinazioni necessarie per i nascituri.
“Il medico – aggiunge il presidente della Simg, Claudio Cricelli – per cercare di fare emergere il “sommerso” non deve “perdere l’occasione di parlarne a chi arriva in ambulatorio per altri motivi”.
Un appello degli esperti arriva anche per il potenziamento della prevenzione “nelle carceri”, dove viene monitorizzato solo il 40% della popolazione, e nei “Sert” dove sono sottoposti a screening solo quattro tossicodipendenti su dieci.
Due le strade per sbarrare la via al virus: prevenzione e vaccinazione, fulcri della campagna di sensibilizzazione in corso nello Stivale.