Comincia a prendere forma il complicato puzzle di geni difettosi responsabili dell’autismo: sono molti e nella gran parte dei casi non basta solo uno di loro per scatenare la malattia.
Ma c’è di più: alcuni dei geni difettosi scoperti servono a far parlare i neuroni tra loro: infatti hanno un ruolo chiave nella formazione dei ponti di comunicazione tra neuroni, le sinapsi.
Ciò lascia ipotizzare che dietro l’autismo si nasconda anche un problema di comunicazione tra neuroni.
È la scoperta messa a segno dal ‘Progetto Genoma Autismo’ lanciato nel 2002 dal Consorzio di studio sull’Autismo, 120 scienziati di tutto il mondo tra cui per l’Italia il gruppo di Elena Maestrini dell’Università di Bologna.
Gli esperti hanno analizzato il Dna di migliaia di individui sani e autistici alla ricerca di geni implicati nella malattia.
Annunciato sulla rivista Nature, il lavoro aiuta a capire i meccanismi molecolari nascosti dietro la malattia e in futuro potrebbe migliorare le capacità diagnostiche e terapeutiche e magari anche portare ad un test predittivo del rischio di concepire un figlio autistico.
“Tra i geni coinvolti nell’autismo trovati in questo studio – precisa Elena Maestrini – ve ne sono anche alcuni (come ‘SHANK2’ e ‘SHANK3’) che anche da soli sono sufficienti a scatenare la malattia; quindi una piccola percentuale di casi di autismo è causata da un singolo gene difettoso”.
Ciò è importante perché vuol dire che studiando in modo particolare questi geni che già da soli scatenano la malattia si accelererà il viaggio alla scoperta delle radici della malattia.
L’autismo colpisce sei bimbi su mille.
I malati hanno difficoltà di relazione e di empatia, ovvero la capacità di capire emozioni, stati d’animo ed intenzioni altrui.
La malattia è molto complessa, ha più volti (ci sono diverse sfumature di gravità) e non è riconducibile ad una sola causa, ma più propriamente dipende dalla complicità di molti geni e forse anche di fattori ambientali.
“I geni che abbiamo individuato spiegano poco più del 3% dell’origine genetica dell’autismo. Per identificare tutte le varianti coinvolte abbiamo bisogno della collaborazione di decine di migliaia di pazienti e delle loro famiglie, così da analizzare un maggior numero di genomi”. “Nonostante tutto, le esatte cause dell’autismo restano ignote – ha commentato una ricercatrice e non dobbiamo dimenticare che i geni interagiscono con l’ambiente in modo complesso: anche per questo un test genetico per diagnosticare l’autismo sembra per ora molto lontano”.
I ricercatori hanno cercato di ricomporre il puzzle di geni coinvolti nella genesi della malattia confrontando il genoma di 2300 persone (1000 autistici e 1300 individui sani) con una tecnica di analisi del Dna ad ‘alta definizione’, ovvero capace di mettere a fuoco anche minime variazioni nel Dna (una risoluzione cento volte maggiore di quella usata nel precedente lavoro del Consorzio).
“Questa volta – spiega ancora la Maestrini – grazie alle tecnologie di analisi del Dna che si fanno sempre più sofisticate, siamo riusciti ad esaminare un milione di punti del genoma, mentre prima ne avevano esaminati solo 10 mila”.
“In particolare – precisa Maestrini – in questo studio abbiamo preso in esame le mutazioni cosiddette ‘CNV’, ovvero mutazioni caratterizzate dall’assenza o dalla duplicazione di piccoli pezzetti di Dna che interferiscono con la sequenza di un gene distruggendola”.
Ne è emerso un quadro davvero complesso: i CNV legati all’autismo sono molti, tutti rari, (ciascuno è presente in meno di un individuo su 100), il che rende difficile comprendere il loro ruolo nella malattia e richiede l’analisi di un numero molto alto di pazienti.
Ma la caccia ai geni dell’autismo è tutt’altro che conclusa: “Il lavoro del consorzio va avanti – continua la Maestrini – il progetto è arruolare diverse migliaia di nuovi pazienti e anche, quando le tecniche lo permetteranno, di arrivare a scrivere la sequenza completa del genoma di più pazienti”.
Inoltre, conclude, si studieranno i geni ora scovati per vedere il loro meccanismo d’azione e risalire ai meccanismi molecolari e cellulari dell’autismo.
Intanto ci sono indizi forti del fatto che sicuramente nella malattia è implicato un malfunzionamento delle sinapsi che interferisce con la comunicazione tra neuroni.
Un’ulteriore scoperta, altrettanto interessante, riguarda l’ereditarietà: stando ai dati raccolti, infatti, le varianti non sono ereditate dai genitori. Nelle mamme e nei papà dei bimbi con i geni “a rischio” i ricercatori non hanno trovato traccia di quelle stesse mutazioni. Uno degli autori, Daniel Geschwind dell’università della California, spiega: “Questo suggerisce che piccoli errori genetici possano avvenire durante la formazione degli ovuli e degli spermatozoi, e che queste alterazioni vengano mantenute nel Dna del figlio. Qualcosa di simile a quello che accade con la sindrome di Down”.
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