Il caso di Solingen, nella Germania occidentale, ci mette tutti un po’ più in allarme e non senza ragione. L’attentato avvenuto nella città tedesca è costato la vita a due uomini e una donna, mentre altre otto persone sono rimaste ferite. Il tutto durante una festa cittadina e per mano di un giovane siriano di 26 anni, che poi si è consegnato alle autorità ammettendo di aver accoltellato in modo indiscriminato i partecipanti alla festa. Poco prima che l’uomo si costituisse, l’attentato è stato rivendicato dall’Isis attraverso il canale di propaganda, Amaq, annunciando che l’autore dell’attacco era uno dei loro combattenti e ha affermato che l’azione è stata compiuta come rappresaglia per “i musulmani in Palestina e ovunque”.
Quello che è accaduto venerdì scorso, un attentato di stampo terroristico nel bel mezzo di un evento sociale – dall’indicativo titolo “Festival della diversità” – che celebra usi e tradizioni occidentali, ma soprattutto celebra tutto ciò che l’Isis combatte, riporta alla mente quel periodo colmo di ansia e di grande timore che si è diffuso subito dopo l’attentato del Bataclan, quando la minaccia dell’Isis sulla nostra cultura non poteva essere sottovalutata.
Ciò che grava è che il caso di Solingen, purtroppo, non è un caso isolato, ma ci sono stati altri episodi recenti che ci mettono davvero di fronte alla possibilità che la stagione del terrorismo in Europa possa essere nuovamente in atto.
Sabato mattina, in Francia, a La Grande-Motte, una località balneare vicino alla città di Montpellier, un algerino di 33 anni con addosso una bandiera palestinese, ha attaccato una Sinagoga incendiando diverse autovetture poste di fronte l’edificio religioso. Per fortuna non ci sono state vittime, ma solo dei feriti, tra cui l’attentatore, a causa della sparatoria che ne è seguita con l’intervento dei corpi speciali. Anche questo attentato sembra essere di matrice antisemita, come suggerisce la bandiera che indossava l’attentatore.
Ancora prima, a Vienna è stato sventato un pericolosissimo attentato suicida da parte di tre giovanissimi (15, 17 e 19 anni) che avevano intenzione di svolgere durante uno dei concerti della pop star americana Taylor Swift. Secondo i servizi austriaci il maggiore sospettato è membro di una rete islamica e il suo obiettivo era di “uccidere un gran numero di persone”.
Anche in Svizzera sembra essere aumentata la minaccia terroristica per mano di questi “lupi solitari” che agiscono per la causa palestinese. Secondo il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) da gennaio sono state arrestate un totale di 30 persone sospettate di aver pianificato attentati terroristici in Europa e anche in Svizzera, mentre sono 47 le persone schedate e classificate come sostenitori o fautori del terrorismo islamico in Svizzera. Inoltre circa 40 persone sono state identificate come capaci di commettere attentati e accusate di sostenere organizzazioni terroristiche, diffondere propaganda e pianificare attacchi. Il SIC, dunque, ha l’occhio più vigile su questo argomento ma ha anche accusato la problematica di una crescente percentuale di sospettati molto giovani, alcuni addirittura minorenni. Questo può essere il principale ostacolo poiché mancano mezzi e anche il potere di indagare sui minori.
Quello che però deve far riflettere è il chiaro messaggio che viene lanciato a tutto l’Occidente: il conflitto tra Israele e Palestina, non riguarda solo israeliani e palestinesi, non è solo affare della popolazione ebraica, non è circoscritto alla Regione mediorientale, ma va ben oltre, è ormai “ovunque” e riguarda sempre di più tutti noi.
Quello che è accaduto venerdì scorso, un attentato di stampo terroristico nel bel mezzo di un evento sociale – dall’indicativo titolo “Festival della diversità” – che celebra usi e tradizioni occidentali, ma soprattutto celebra tutto ciò che l’Isis combatte, riporta alla mente quel periodo colmo di ansia e di grande timore che si è diffuso subito dopo l’attentato del Bataclan, quando la minaccia dell’Isis sulla nostra cultura non poteva essere sottovalutata.
Ciò che grava è che il caso di Solingen, purtroppo, non è un caso isolato, ma ci sono stati altri episodi recenti che ci mettono davvero di fronte alla possibilità che la stagione del terrorismo in Europa possa essere nuovamente in atto.
Sabato mattina, in Francia, a La Grande-Motte, una località balneare vicino alla città di Montpellier, un algerino di 33 anni con addosso una bandiera palestinese, ha attaccato una Sinagoga incendiando diverse autovetture poste di fronte l’edificio religioso. Per fortuna non ci sono state vittime, ma solo dei feriti, tra cui l’attentatore, a causa della sparatoria che ne è seguita con l’intervento dei corpi speciali. Anche questo attentato sembra essere di matrice antisemita, come suggerisce la bandiera che indossava l’attentatore.
Ancora prima, a Vienna è stato sventato un pericolosissimo attentato suicida da parte di tre giovanissimi (15, 17 e 19 anni) che avevano intenzione di svolgere durante uno dei concerti della pop star americana Taylor Swift. Secondo i servizi austriaci il maggiore sospettato è membro di una rete islamica e il suo obiettivo era di “uccidere un gran numero di persone”.
Anche in Svizzera sembra essere aumentata la minaccia terroristica per mano di questi “lupi solitari” che agiscono per la causa palestinese. Secondo il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) da gennaio sono state arrestate un totale di 30 persone sospettate di aver pianificato attentati terroristici in Europa e anche in Svizzera, mentre sono 47 le persone schedate e classificate come sostenitori o fautori del terrorismo islamico in Svizzera. Inoltre circa 40 persone sono state identificate come capaci di commettere attentati e accusate di sostenere organizzazioni terroristiche, diffondere propaganda e pianificare attacchi. Il SIC, dunque, ha l’occhio più vigile su questo argomento ma ha anche accusato la problematica di una crescente percentuale di sospettati molto giovani, alcuni addirittura minorenni. Questo può essere il principale ostacolo poiché mancano mezzi e anche il potere di indagare sui minori.
Quello che però deve far riflettere è il chiaro messaggio che viene lanciato a tutto l’Occidente: il conflitto tra Israele e Palestina, non riguarda solo israeliani e palestinesi, non è solo affare della popolazione ebraica, non è circoscritto alla Regione mediorientale, ma va ben oltre, è ormai “ovunque” e riguarda sempre di più tutti noi.
Redazione La Pagina