L’abbiamo detto più volte e lo ripetiamo: non c’è alcun dubbio che quando un popolo scende in piazza per chiedere “pane e democrazia”, merita la solidarietà e il sostegno di tutte le persone civili. I dittatori dei paesi nordafricani hanno governato per decenni ma l’unico aspetto positivo per noi occidentali è che hanno tenuto a bada il partito islamico, tipo Iran, per intenderci. Per il resto disuguaglianze, corruzione, nepotismo, privilegi l’hanno fatta da padrone, malgrado la coloritura vagamente populista-rivoluzionaria-sinistrorsa di quei regimi. Tra parentesi: non per nulla, a difendere Gheddafi, oggi troviamo il Venezuela di Chavez, la Cuba di Castro, lo Zimbabwe di Mugabe e il Nicaragua di Ortega, con qualche riguardo da parte della Cina, magari, quest’ultima, per motivi solo di petrolio.
Al punto drammatico, da guerra civile, in cui si trova la Libia, è chiaro che la storia deve fare e farà il suo corso. Tuttavia, non è possibile non notare il diverso atteggiamento, all’indomani delle manifestazioni di piazza, tenuto da Ben Alì in Tunisia, e da Hosni Mubarack, in Egitto, da una parte, e da Gheddafi dall’altra. Nei loro rispettivi Paesi hanno gestito male il loro potere, l’ex presidente tunisino, oltre tutto, è uscito di scena da vigliacco, fuggendo di nascosto, però l’uno, Mubarack ha resistito finché ha potuto e poi ha ceduto il potere, l’altro, Ben Alì, si è rifiutato di far sparare sulla folla. Intendiamoci, non è un merito, è solo una differenza tra lui e Gheddafi, che invece, sui manifestanti ha fatto sparare e continua a farlo.
Perché l’ha fatto? Certamente perché è un satrapo sanguinario, fu lui nel 1989 a dare l’ordine di far saltare l’aereo che esplose su Lockerbie; certamente perché, esaltato com’è, pensa di essere la Libia, ma l’ha fatto – forse – anche perché ha capito quel che i primi due non hanno capito, e cioè che dietro le rivolte c’è la fame e la sete di democrazia, ma c’è anche un’occulta ma chiara regia dell’Iran e del partito islamista che hanno orientato gli avvenimenti.
Come si fa a dirlo? Molti commentatori hanno semplicemente messo a fuoco alcuni fatti. Le notizie sulle rivolte sono state date dalla potente Al Jazeera, l’emittente di proprietà dell’emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa, monarca assoluto del piccolo Stato del Golfo, ricco di petrolio. Le altre emittenti occidentali le hanno riprese da Al Jazeera, in modo particolare dall’edizione inglese.
È stata Al Jazeera che ha diffuso una serie di notizie – poi risultate false – prima dei diecimila morti e cinquantamila feriti in Libia, poi delle fosse comuni (era in realtà un cimitero esistente da decenni, come ha rivelato Del Boca sui media italiani), poi ancora di conquiste di basi aeree mai avvenute e infine di bombardamenti sulla folla da parte di Mig ed elicotteri. Senza contare le immagini sulle piazze della Libia che non sembravano proprio affollate di manifestanti.
Tutto questo per incoraggiare le rivolte ed orientarle. A quale scopo? L’emiro del Qatar non è solo un monarca assoluto, è anche quello più vicino all’Iran e più distante dagli stessi Paesi arabi, come l’Arabia Saudita, che dialogano con l’Occidente e con gli Usa.
Se due più due fa quattro, la strategia è chiara: il partito islamista vuole rientrare in gioco e si serve dei disordini per chiedere elezioni e conquistare il potere, magari a gradi. Di tutto questo l’Occidente deve tenere conto e vigilare, se non vorrà assistere, con il dopo Mubarack, il dopo Bel Alì e il dopo Gheddafi, ad un epilogo reazionario e pericoloso delle rivolte.
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