Quella che si sta combattendo in Libia è davvero una “strana” guerra, secondo la definizione di Pierluigi Battista. Strana perché è una guerra in tutto e per tutto, con aerei, missili, distruzioni, morti e feriti, ma nello stesso tempo non si vuole chiamarla con il suo vero nome, preferendo ricorrere alla più neutra e asettica “applicazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.
È una “strana” guerra perché dapprima hanno ha soffiato sul fuoco della rivolta, poi il presidente Usa, premio Nobel per la pace, e il suo braccio destro Billy Gates, hanno ceduto alle pressioni a favore dell’intervento di Hillary Clinton e al suo protagonismo, che magari era anche un modo di mettere in difficoltà il presidente.
E poi c’è il presidente francese che più di tutti ha voluto l’intervento per cinici calcoli elettorali e che per farlo ha dovuto necessariamente rivestirlo di parole altisonanti come libertà e stop ai massacri. È una “strana” guerra anche per l’Italia, dove la maggioranza di centrodestra al governo in realtà non la voleva, ma l’ha subìta in seguito all’attivismo del presidente della Repubblica sul cui carro è salito prontamente tutto (o quasi) il centrosinistra con Di Pietro, Casini e Fini e sul quale è stato costretto a salire anche il governo, che si è ben mimetizzato dietro la reboante sigla dell’Onu e che ha messo le mani avanti dichiarando che offre le basi ma non “ha sparato e non sparerà nemmeno un colpo”, come se i “pali”, nelle rapine, non fossero altrettanto responsabili di quelli che vanno materialmente a svaligiare la banca. È una “strana” guerra dalla quale hanno subito preso le distanze molti di coloro che l’avevano assecondata, dalla Norvegia alla Danimarca, dalla Lega Araba all’Unione Africana.
Lo è anche perché i protagonisti che sparano affermano, ufficialmente, che non vogliono far fuori Gheddafi, ma difendere la popolazione civile che proprio dopo l’inizio delle attività belliche sta subendo le maggiori perdite. Quanto al “colonnello”, sperano che di sua spontanea volontà annunci il ritiro e si esibisca anche in un battimani.
È, dunque, una “strana” guerra perché ormai tra cento chilometri conquistati nella regione di Tripoli o di Bengasi, poi abbandonati e poi riconquistati a metà, è diventata un affare interno, come lo era già da prima, perché si fanno guerra non oppressi contro oppressori, ma le tribù per il controllo del potere, ex oppressori contro vecchi oppressori, per continuare ad opprimere. Lo è per l’Italia, ancora, perché a pagarne le conseguenze siamo e saremo solo noi, con meno opportunità in Libia e il dramma delle migrazioni.
Ma alla “strana” guerra si è affiancato anche uno “strano” pacifismo. Sono pacifisti quelli che con Saddam Hussein non lo furono e sono diventati guerrafondai quelli che furono pacifisti. Probabilmente qui il vero spirito di pace c’entra pochissimo, entrano in gioco altri meno nobili fattori, tutti anche qui rigorosamente mimetizzati dalla sigla dell’Onu. Sono diventati pacifisti quelli di destra perché hanno forse capito che gl’interessi dell’Italia non erano in una guerra a Gheddafi, ma continuano a fare buon viso a cattivo gioco perché non possono accusare apertamente il governo; è diventata favorevole all’intervento la stragrande maggioranza del centrosinistra perché all’inizio pensava di mettere in un angolo il governo che aveva firmato con la Libia il trattato di amicizia.
Tra queste posizioni spicca alta e onesta quella di un personaggio spesso criticato da destra e da sinistra, Gino Strada, capo di Emergency, che, a proposito della guerra, ripete gli stessi concetti da sempre, sia con Saddam Hussein in Iraq, sia in Afghanistan con i talebani, sia con Gheddafi in Libia, sia con altri altrove: “Le bombe umanitarie sono una bugia”, “i fini non giustificano i mezzi”.