Nei prossimi 50 anni la Svizzera sarà progressivamente privata delle centrali nucleari finora esistenti. Sarà rafforzata la produzione di energia idroelettrica così come quella proveniente da fonti rinnovabili. Questa la decisione del governo svizzero annunciata nei giorni scorsi, anche se non si escludono ripensamenti in caso di progressi tecnici. La questione del nucleare in Svizzera ci tiene ogni giorno col fiato sospeso. Già da tempo si era presa in considerazione l’idea di un possibile abbandono dell’energia atomica a favore dell’energia idroelettrica, maggiore fonte in terra elvetica, e delle nuove e più ecologiche energie rinnovabili. Poi il 12 marzo scorso, il Giappone ha dato, suo malgrado, un grande contributo alla questione con lo scoppio disastroso delle centrali di Fukishima: una catastrofe nucleare che raramente sarà dimenticata e le cui conseguenze, molte delle quali attualmente taciute, sarà il tempo a rivelare. Dalla data dell’incidente atomico giapponese, la questione sembra essere sempre più al centro del dibattito politico e sociale non solo svizzero ma europeo, tanto che, in questi giorni, si sta assistendo ad un vero e proprio plebiscito contro l’atomo. Infatti, mentre negli USA, proprio a pochi giorni di distanza dal disastro nucleare di Fukushima, Mitch Singer, portavoce del Nuclear Energy Institute, anticipava al Wall Street Journal che otto nuovi reattori sono pronti per essere accesi entro il 2020 e andranno ad aggiungersi ai 104 già in funzione in 31 Stati, tra I Paesi europei la sorte del nucleare sembra prendere tutt’altra decisione. Il primo a decidere di abbandonare il nucleare è stato la Germania: sarà il 2022 l’anno in cui i reattori tedeschi si spegneranno per sempre e la decisione sembra essere, ad oggi, irrevocabile. Mentre in Italia il popolo si pronuncerà sulla questione nucleare il 12 e il 13 giugno, sulla stessa scia della vicina Germania sembra procedere la Svizzera che ha annunciato l’uscita graduale dal nucleare. La decisione è stata presa nei giorni scorsi dal Governo svizzero che ha annunciato la progressiva chiusura delle centrali nucleari tuttora in funzione a cominciare dal 2034: gli impianti esistenti dovranno essere disattivati alla fine del loro ciclo di vita e non saranno sostituiti, così ha dichiarato il Consiglio Federale. La decisione ha trovato largo consenso tra la popolazione: infatti, oltre all’impatto emotivo legato alle sorti di Fukushima, non dimentichiamo la manifestazione contro il nucleare dei giorni scorsi che ha coinvolto 20 mila svizzeri. Inoltre, lo studio realizzato dall’istituto Isopublic pubblicato dal domenicale ‘SonntagsZeitung’ attesta che l’80% dei cittadini interrogati è d’accordo con la decisione del governo. Non in secondo piano è certamente anche l’impatto economico. Pare, infatti, che il possibile aumento del costo del combustibile nucleare non sia passato inosservato a Berna. “Il Consiglio Federale è convinto che l’abbandono del nucleare sarà pagante a lungo termine, anche da un punto di vista economico” ha affermato nei giorni scorsi la consigliera federale Doris Leuthard, cioè i vantaggi economici che fino adesso avevano garantito il nucleare saranno meno evidenti rispetto invece a quelli che prospettano le energie rinnovabili, considerato soprattutto l’aumento dei costi in materia di sicurezza richiesti dai nuovi standard a cui si aggiungeranno i costi per lo smantellamento delle vecchie centrali e la sostituzione di quelle nuove. Per sopperire all’abbandono del nucleare, il Governo guarda sia al rafforzamento dell’energia idroelettrica che, soprattutto, a nuovi investimenti nelle energie rinnovabili e nella ricerca. Laddove ce ne fosse bisogno, si dovrà continuare ad importare l’energia necessaria per coprire i periodi in cui l’energia prodotta internamente non riesce a coprire la richiesta nazionale. Dunque, secondo quanto annunciato dal Governo, il piano d’abbandono del nucleare dovrebbe aprire le danze nel 2019 con la chiusura del reattore di Beznau I, seguito da Beznau II e Mühleberg nel 2022. La centrale di Gösgen sarà chiusa nel 2029. L’ultimo reattore a cessare l’attività sarà quello di Leibstadt nel 2034. Non bisogna, però, escludere che questa decisione possa essere rimessa in gioco davanti ai nuovi orizzonti che i progressi tecnici potrebbero offrire. Infatti, l’opzione atomica potrebbe tornare d’attualità nel caso dovesse essere possibile realizzare la fusione nucleare, ha detto la ministra dell’energia. Leuthard non chiude la porta agli sviluppi tecnologici: “Se nei prossimi 30 anni dovesse riuscire la fusione nucleare e se i vantaggi dell’atomo dovessero tornare a essere preponderant, si potrebbe nuovamente adattare la legge”, osserva in un’intervista pubblicata oggi dalla “NZZ am Sonntag” l’esponente PPD. Il risultato del sondaggio che vede 4 svizzeri su 5 d’accordo con la decisione del governo di abbandonare il nucleare ha spinto studiosi e ricercatori a ricercare nuovi fonti di energia: si parla, per esempio, di sfruttare meglio l’acqua di scioglimento dei ghiacciai. Secondo però quanto espresso da uno studio condotto presso l’Università di Zurigo da un team di ricercatori guidati da Wilfried Haeberli, entro il 2050 la metà dei ghiacciai esistenti nell’anno 2000 saranno sciolti e lo stesso destino avranno entro fine secolo anche quasi tutti gli altri. Nasceranno così numerosi laghi alpini che potrebbero rappresentare un pericolo idrologico ma nel contempo essere anche interessanti – se opportunamente sfruttati – nel contesto energetico. Sempre per discutere della scottante questione nucleare è prevista per l’8 giugno la sessione straordinaria del parlamento sull’energia nucleare. “Sonntag” calcola che attualmente l’abbandono dell’atomo sia in vantaggio al Nazionale per 99 deputati a 96. A far pendere l’ago della bilancia sono gli esponenti del PPD, che si schiererebbero a maggioranza con la loro consigliera federale. Staremo a vedere cosa succederà.
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