La domenica della Riforma alla Zwinglikirche di Zurigo. Insieme
Centoventi candeline saranno idealmente spente domenica 6 novembre dal pastore Ernst Matthias Rüsch, oggi alla guida della Chiesa evangelica di lingua italiana di Zurigo. Per la significativa ricorrenza, che coincide con la domenica della Riforma, il programma è nutrito: culto con Santa Cena e predicazione della moderatrice della chiesa valdese Maria Bonafede, concerto e pranzo comunitario, conferenza dello scrittore Maurizio Maggiani e inaugurazione della mostra sui centoventi anni di predicazione in lingua italiana a Zurigo. Rispolverando carte e documenti di quel lontano 1891 da esporre in mostra, per istintiva associazione non possiamo esimerci dal rievocare con gli occhi della mente le malinconiche peregrinazioni degli immigrati provenienti dal Bel Paese, spinti dalla miseria verso la Svizzera per cercare lavoro e sostentamento. Un modo efficace per comprenderne gli stati d’animo, è quello di disporsi davanti al grande affresco di Pietro Chiesa intitolato L’emigrante, collocato nell’atrio della Stazione ferroviaria di Chiasso. L’ampia opera pittorica, che dal 1933 occupa la parete superiore di fronte all’ingresso, a distanza di quasi ottant’anni merita una riconsiderazione. Diversi sono i simboli figurativi scelti per l’occasione dall’artista. Scuro in volto, immobile, accorato, un emigrante è posto in primo piano. Dietro di lui, come in un mesto corteo, sfilano i membri della sua famiglia: la moglie con un neonato fra le braccia, la figlia già adolescente e una donna anziana che veste gli abiti del lutto, probabile madre, o suocera, dell’emigrante in fuga dall’indigenza e dalla povertà. Una struggente rappresentazione carica di pena, accentuata sul piano pittorico dal cielo plumbeo e autunnale che grava sulle case scrostate e sugli arbusti senza foglie sparsi nel paesaggio. Non a caso l’affresco di Pietro Chiesa si trova nel luogo di confine fra Italia e Svizzera che meglio di altri incarna il senso dell’afflizione per una partenza forzata. Da qui si lasciava (e ancora si lascia) l’Italia. Da qui si entrava in un territorio sconosciuto, abitato da gente talvolta ostile nei confronti dei cosiddetti Gastarbeiter. Il tragitto era lungo, faticoso, e raggiungere Zurigo richiedeva molte ore di viaggio, che si sommavano, per chi veniva dal Sud, ad altre interminabili ore trascorse nei vagoni di terza classe. Stando ad una stima del 1896 i lavoratori italiani presenti a Zurigo erano all’epoca diciottomila, tra stagionali e permanenti. Nonostante fossero sorti in città veri e propri quartieri italiani, tra Otto e Novecento erano poche le associazioni che si prendevano cura degli emigranti. L’organizzazione più efficiente per tutela ed assistenza faceva capo allo storico gruppo di socialisti italiani, forte di circa trecento iscritti e simpatizzanti, che nel 1905 diede vita alla Società Cooperativa per la gestione del Ristorante Cooperativo. Qui gli immigrati potevano trovare un pasto abbondante e nutriente a prezzi modici, e ben presto i confortevoli ambienti del Coopi divennero sede di incontri politici o di ritrovo per la loro elevazione morale e culturale. Radicata dalla fine dell’Ottocento era la missione cattolica di Don Giuseppe Luraghi, fondatore a Zurigo della Lega Operaia Cattolica, nata in risposta ai burrascosi fatti del luglio 1896, quando si sviluppò un forte sentimento di riprovazione culminato nelle giornate dell’Italienerkrawall. Ma se contano in qualche modo i primati, dobbiamo datare già alla metà dell’Ottocento gli interventi della chiesa valdese per l’evangelizzazione degli immigrati italiani in Svizzera. La nascita a Zurigo, nel 1890, del Comitato di evangelizzazione tra gli italiani, la predicazione del colportore Francesco Pugno a far data dall’anno successivo, nonché la fondazione di un Circolo biblico, precedono l’opera intrapresa con prodiga liberalità dal predicatore valdese Stefano Revel, attorno al quale la comunità si raccolse entusiasta partecipando con regolarità al culto e intervenendo dall’interno del Consiglio di Chiesa. Maggior impulso venne dal successore Giovanni Rodio, grazie al quale il Circolo biblico si attivò per portare ausilio a chi necessitava di istruzione – in linea con il motto evangelico Lux lucet in tenebris – o di un aiuto morale per attenuare i disagi derivanti dall’alcolismo sempre più dilagante. Senza la recente pubblicazione del Pastore Ernst Matthias Rüsch dal titolo Conversation über das Eine, was not tut. Evangelisch-reformierte Italienerseelsorge im Kanton Zürich im XIX und XX Jahrhundert, uscita lo scorso anno a Zurigo dai torchi della Theologischer Verlag, non saremmo approdati a notizie così puntuali e circostanziate sulla Chiesa evangelica di lingua italiana di Zurigo, con sede al numero 23 di Aemtlerstrasse. Le scansioni di indagine di Paolo Tognina e di Jolanda Fuhrmann, che in ragione dell’uscita del libro hanno sottolineato dalle pagine di ‘Voce evangelica’ le componenti storico-sociali della comunità italiana zurighese, giustificano il crescente interesse per le attività che oggi si svolgono negli spazi accoglienti della Zwinglikirche di Aemtlerstrasse. Dall’esterno la chiesa è imponente. Dà l’idea di una certa solidità edilizia, oltre che spirituale, lasciando immaginare in chi oggi si avvicina con il passo timido dell’immigrato, una dimensione di solidale ospitalità e di accettazione dell’altro. Entrando, l’attesa sarà ripagata, in piena aderenza con il rassicurante invito di Cristo: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11, 28). Non potrebbe darsi metafora più persuasiva di questa, per indurre gli incerti a varcarne il 6 novembre la soglia d’ingresso. Giuseppe Muscardini