Bentrovati! E così è passata un’altra settimana e, se in quella appena trascorsa vi abbiamo raccontato ciò che è accaduto tra le mura della Casa d’Italia, questa volta ci spostiamo un po’ più in là; dove? Tra boschi ombrosi e poltrone rosse. Infatti, proprio due venerdì fa, la seconda classe del Vermigli è andata in visita alle grotte di Baar e, seppur prive dell’esperienza diretta, vorremmo comunque, con l’aiuto dei resoconti raccolti, darvi un’idea di quello che è successo. Ma prima qualche informazione generale: le grotte si trovano nella vicinanza di un bosco e si sono formate grazie alla forza erosiva dell’acqua che ha creato meravigliose formazioni calcaree al loro interno. Come potrete ben immaginare il bus non portava fino all’entrata del percorso di visita, in parte scavato dall’uomo, e quindi si è potuto approfittare per fare un’interessante passeggiata tra la fitta vegetazione, osservare le molteplici varietà di vegetazione e funghi che crescono nel sottobosco respirando quell’aria umida e anche un po’ cupa tipica di questi ambienti; senza dimenticare lo scricchiolio dei rami spezzati dai passi e il fruscio delle foglie mosse dal vento. Ciò che rende particolari queste grotte è la specificità delle sculture create proprio dall’erosione: un tempo, e in misura minore anche ai giorni d’oggi, c’erano delle zone sommerse per buona parte. Per questo le stalattiti createsi sulla parete superiore presentano una conformazione più a “tendaggio” rispetto alla parte precedentemente sommersa che invece ha un forma corallina a grappolo. Ma questa è solo una delle splendide sorprese che un posto come questo può offrire, che la natura, inconsapevolmente ci dona e per cui noi dovremmo, oltre che essere grati, mostrare rispetto. Come hanno vissuto questa esperienza i ragazzi della seconda? “È stato interessante e impressionante vedere come un corso d’acqua abbia dato vita a stalattiti così particolari”. Che possiamo aggiungere oltre questo? Forse che dopotutto la bellezza sta anche nelle creazioni, nel risultato, cioè, di qualcosa che non tendeva alla superbia dell’ammirazione estetica; quelle forme così spettacolari erano solo il punto di arrivo di un lavoro lento e paziente. Quindi ora la domanda che sorge spontanea è: cos’è che rende magnifiche quelle formazioni calcaree? È davvero la loro forma caratteristica o siamo noi? Noi che con il nostro rapportare tutto alla nostra esperienza distinguiamo in un gruppo di sculture minerali un’aquila o un coccodrillo? Piano piano, vorremmo trasportarvi in un altro luogo, un luogo maestoso da togliere il fiato, un luogo capace di farci vivere emozioni forti che arrivano dirette al nostro cuore: l’ Opera di Zurigo. È proprio da qui che sulle note di Giuseppe Verdi siamo volati fino al “popoloso deserto che appellano Parigi” per palpitare davanti al sacrificio di Violetta, costretta a rinunciare al suo amore, per sdegnarci della voluttà di baroni e conti che non vogliono affrontare la vita, ma anche per domandarci se la natura umana cambierà. Vorremmo davvero essere in grado di donare alla vostra sensibilità il brivido delle prime note del preludio, le vertigini del soffitto d’oro arricchito di dipinti, l’intensità di quel “amami Alfredo” che si innalza verso chi accoglie le note senza paura di ritrovarsi pervaso da quello straziante grido d’amore. Quanto tempo abbiamo per amare? Perchè, dopo l’unione, la tisi decide di portare via la vita di Violetta? Perchè ogni secondo che passa è irrecuperabile? Queste sono alcune delle domande su cui la Traviata ci porta a riflettere. E, se la vita umana è solo un soffio di vento davanti all’enorme tempesta del mondo, abbiamo il dovere di arricchirla nel modo migliore, arricchendo così noi stessi; come Violetta, davanti alla sua fine imminente, non rinnega Alfredo, allo stesso modo, davanti all’esistenza finita, possiamo solo donarci a cuore aperto alle persone che ci amano. Con questi pensieri vi salutiamo, lettori, rimandando l’appuntamento alla prossima settimana!
Merola Maria-Grazia & Federica Breimaier