“This must be the place” arriva nelle sale
Punta dritto agli Oscar, a cominciare dalla candidatura come migliore attore per il protagonista Sean Penn, This must be the place, il nuovo film di Paolo Sorrentino, il primo internazionale, tutto girato in inglese e che dopo il passaggio in concorso al festival di Cannes a maggio uscirà ora in ben 300 copie dal 14 ottobre distribuito da Medusa. Dopo Il Divo su Giulio Andreotti “mi piaceva prendermi una vacanza lussuosa quanto faticosa dai fatti italiani – dice Sorrentino – con una storia più semplice, quasi un romanzo di formazione, anche se ricco di tanti elementi. La realtà italiana resta per il cinema un serbatoio ricco di racconti, un panorama molto attraente, e il cinema italiano che la voglia raccontare sarà inevitabilmente destinato a diventare importante più di quanto non sia adesso, quando se lo potrà permettere, perché ora non sono sicuro che possa”. This must be the place, con il recente accordo con il produttore-distributore Harvey Weinstein, si appresta a cominciare un percorso americano, con un’uscita cosiddetta tecnica a dicembre per rispettare i termini per l’eleggibilità per gli Oscar. “C’è già un budget stanziato per la campagna Oscar, si sa che Weinstein è molto bravo a promuovere i film e anche Sean Penn – dice all’Ansa uno dei produttori Andrea Occhipinti – ha detto la sua. Per quest’anno Weinstein oltre a This must be the place che può concorrere in tutte le candidature, punta a Meryl Streep, Margareth Tatcher in The Iron Lady”. Paolo Sorrentino sul tema Oscar ovviamente non si sbilancia. Il film è italiano come regia, sceneggiatura (Sorrentino e Umberto Contarello), direttore della fotografia (Luca Bigazzi), scenografia (Stefania Cella) e produttori (Nicola Giuliano, Francesca Cima, Andrea Occhipinti e Medusa) ma internazionale nel cast (oltre al catatonico protagonista Penn ci sono tra gli altri Frances McDormand, Eve Hewson, David Byrne) e nella coproduzione con Francia e Irlanda in associazione con Intesa Sanpaolo. Il protagonista Cheyenne, l’ebreo cinquantenne che parla in falsetto, ha il fondotinta e il rossetto rosso, è una rock star annoiata e depressa in un sobborgo di Dublino che sembra trascinare con il suo trolley una vita senza senso fino a che non intraprende la ricerca dell’aguzzino nazista del padre con cui aveva chiuso i ponti, facendo diventare la seconda parte del film un on the road. “Penn – spiega il regista – ha avuto la grande capacità e la sofisticata attenzione dei grandi attori di impadronirsi del personaggio mettendo di suo tutto quello che non si riesce a mettere in una sceneggiatura. È stata sua l’idea della voce in falsetto e di camminare come ‘i ricchi che si sentono in colpa di essere diventati ricchi’ secondo la sua stessa definizione”. Il tema dell’Olocausto “è sullo sfondo. This must be the place è un piccolissimo contributo su quel tema insieme a tutti gli altri film e libri. È un argomento di tale complessità che c’é chi come Wiesenthal ha passato una vita a cercare spiegazioni al male senza trovarle”, dice Sorrentino. Nel film c’é l’Olocausto (“raccontato con umiltà”, ci tiene a sottolineare il regista), “ma anche l’assenza del rapporto affettivo tra un padre e un figlio, c’é il racconto della musica e un doppio binario, un film praticamente in due atti”. Qualcosa di autobiografico? “No, trovo discutibile che bisogna sempre trovare qualcosa di personale in ogni storia”.