Gli obiettivi di Livio Zanolari, candidato dell’UDC al Consiglio Nazionale
Come esperto di comunicazione, Lei ha già lavorato per diversi consiglieri federali: ci racconta le Sue esperienze?
Ho lavorato 12 anni a Berna al servizio di 6 Consiglieri federali, per 6 anni in veste di portavoce del Dipartimento federale degli Affari Esteri e 6 anni quale capo dell’informazione del Dipartimento federale di giustizia e polizia. Ho potuto conoscere non solo i meccanismi che regolano il funzionamento del nostro Stato, ma penso di poter essere in grado di capire meglio i problemi nel loro insieme. Per chi ci lavora è importante avere una visione d’insieme della complessa realtà dell’amministrazione e della politica federale.
Lei è candidato per l’UDC al consiglio nazionale: quali sono i suoi obiettivi per Berna?
Mi stanno particolarmente a cuore i valori che hanno consentito al nostro Paese di non aderire all’UE e di gestire la vita pubblica in modo ragionevole: la democrazia diretta e il federalismo. Queste due colonne del nostro stato di diritto creano le condizioni per lasciare l’ultima parola al popolo; non spetta allo Stato dire al cittadino cosa fare, ma è il cittadino che lo dice allo Stato. I politici non possono fare ciò che vogliono, ma devono fare ciò che il cittadino decide nelle varie votazioni. La democrazia diretta offre l’occasione ad ogni cittadino di lanciare un referendum o un’iniziativa e questo non solo a livello federale, ma anche sul piano cantonale o comunale. Così lo Stato è controllato dalla propria gente e non da una classe politica. Ognuno si sente partecipe e anche un po’ più responsabile.
Nel video sul Suo sito dice che lotta per una Svizzera indipendente; cosa significa?
Indipendente significa che le leggi del nostro Paese devono essere elaborate, modificate, approvate da noi stessi e da nessun altro. Oggi purtroppo subiamo la pressione dell’UE che vuole imporci la cosiddetta soluzione istituzionale e i propri tribunali. Questo significa che per i contratti che abbiamo con l’UE noi dovremmo riprendere le modifiche di legge decise a Bruxelles. Purtroppo questo passo l’abbiamo già fatto con i contratti Schengen (collaborazione tra i corpi di polizia) e Dublino (domande di asilo). In questi due ambiti la collaborazione funziona male o non funziona affatto. Noi subiamo le conseguenze negative e finanziariamente onerose. Nel contempo dobbiamo adottare direttamente i cambiamenti di legge impostici da Bruxelles. È una situazione paradossale e per noi inaccettabile. Dobbiamo correggere il tiro, anche se sarà difficile.
Dopo la Sua mancata nomina al Gran Consiglio del Cantone da parte del PPD dei Grigioni, Lei è passato all’UDC, perché?
Il motivo principale sta nel fatto che non mi identificavo più nelle linee politiche seguite dal PPD (nei Grigioni PDC). Per me il PDC non respinge con determinazione le rivendicazioni dell’UE sulla questione istituzionale o degli USA in materia di questioni finanziarie. Inoltre non dà peso al principio della concordanza, che serve innanzitutto a dare stabilità al Paese e a chi lo governa.
L’UDC ha fatto propaganda contro gli stranieri con manifesti molto forti e controversi. Ma cosa sarebbe la Svizzera senza stranieri? Non hanno contribuito molto al benessere economico del Paese?
La Svizzera è sempre stata aperta agli stranieri. Non è un caso che più del 22% della popolazione elvetica sia straniera. Il problema che si pone ora è legato al contratto con l’UE sulla libera circolazione: 400 milioni di cittadini europei possono venire qui a cercare lavoro e, se lo trovano, rimanerci. Dato che il nostro Paese è molto attrattivo assistiamo all’aumento (netto) della popolazione di circa 70’000 persone all’anno, tanto quanto due città di Coira ogni 12 mesi. I problemi recati alle strutture sono evidenti, specie nelle maggiori città; strade congestionate, treni strapieni, centri sanitari affollati, problemi nelle scuole, penuria di abitazioni, prezzi alle stelle, ecc. I problemi sono destinati ad acuirsi in caso di recessione, poiché la percentuale dei disoccupati salirebbe a vista d’occhio e pregiudicherebbe le nostre assicurazioni sociali.Sono quindi necessarie limitazioni e per questo l’UDC ha lanciato l’iniziativa contro l’immigrazione massiccia. Secondo noi la Svizzera deve riprendere il controllo dell’accesso al lavoro, dando la precedenza a chi vive e già lavora nel nostro Paese.
Quale sarebbe, secondo Lei, la giusta politica d’integrazione?
L’impegno della Svizzera per l’integrazione è ampio. Grazie al lavoro di integrazione, nonostante l’alta percentuale di persone di altre culture, abbiamo potuto evitare la nascita di ghetti, come quelli dei magrebini in alcune città francesi. Nel processo di integrazione il passo più importante è quello legato all’apprendimento della lingua del luogo. Se i bambini sanno la lingua il principale gradino dell’integrazione è superato, come è stato, per esempio, per la seconda e la terza generazione degli immigrati italiani nella seconda metà del secolo scorso. Per quanto riguarda la presenza di bambini appartenenti a famiglie dalla cultura molto diversa dalla nostra, è importante che vengano seguite le nostre regole e rispettati i valori della nostra cultura occidentale cristiana. Non possiamo accettare le forme di violenza, il fanatismo o il disprezzo del nostro pacifico Stato di diritto.
I primi passi verso l’uscita dal nucleare sono ormai compiuti; cosa significherà per la Svizzera questo cambiamento?
Non ho nessun legame sentimentale con l’energia nucleare. Ne farei a meno se potessi, così come rinuncerei volentieri all’energia fossile per il riscaldamento e per la mobilità. Ma questo non è possibile. Quella dei nostri politici, la cosiddetta svolta energetica, è stata una decisione presa sotto la foga del clima preelettorale. Ora la decisione dovrà essere attuata mediante una lunga serie di atti legislativi. Ognuna di queste leggi conterrà le indicazioni su come finanziare i progetti. A questo punto ci si accorgerà che il prezzo dell’energia salirà alle stelle, che molte nostre industrie non potranno permettersi di pagare un prezzo troppo alto per l’energia e quindi il pericolo di perdere posti di lavoro sarà latente. Nei dibattiti per la campagna ho sempre posto ai miei interlocutori (concorrenti) questa domanda: “Se noi in futuro, dopo aver chiuso le centrali nucleari, avessimo bisogno di importare energia dall’estero, potremmo importare energia nucleare?”…nessuno ha saputo darmi una risposta.
Il PS e i Verdi hanno lanciato la terza iniziativa (le altre due non sono state accettate dal popolo) per una cassa malati unica; secondo Lei la Svizzera ha bisogno di inserire una cassa malati unica? E che vantaggi e/o svantaggi ci sarebbero?
Per diversi motivi mi oppongo a una cassa malati unica; le conseguenze sarebbero svantaggiose, specie per le nostre regioni, come per esempio il Cantone dei Grigioni. In genere la popolazione della Svizzera orientale è meno incline a ricorrere al medico rispetto a quella della Svizzera romanda. Per questo paghiamo meno premi assicurativi rispetto a chi vive nella Svizzera romanda. Con una cassa malati unica dovremmo pagare molto di più e compensare le maggiori uscite delle altre regioni. In tal caso scadrebbe di molto il senso di responsabilità e i premi salirebbero ancora di più, per tutti. Il senso di responsabilità del cittadino va curato anche nel campo della salute. Inoltre una cassa malati unica nasconderebbe il pericolo della centralizzazione e comporterebbe un aumento della burocrazia e delle spese di gestione.
La Svizzera in futuro farà parte dell’Unione Europea?
Spero di no, ma temo che la nostra classe politica conduca verso l’UE con la strategia dell’avvicinamento delle istituzioni, vale a dire della ripresa diretta del diritto europeo. Se cediamo a questo tentativo dell’UE di smantellare la nostra indipendenza istituzionale, un giorno non avremo più nulla da dire nel nostro Paese, come purtroppo già avviene ora nella politica migratoria (Schengen, Dublino). L’indipendenza è alla base del nostro benessere, per cui la dobbiamo difendere con determinazione, per esempio il 23 di ottobre, recandoci alle urne.Sono tuttavia pessimista, temo che un giorno faremo parte dell’UE, poiché la nostra classe politica è affascinata da tutto quanto è grande. Io amo invece il piccolo e per me la Svizzera non è né troppo stretta né troppo piccola.
Manuela Salamone