Era sotto protezione per aver fatto arrestare un gruppo di mafiosi
Quando si dice che l’estorsione è un’eredità genetica e che non te l’aspetteresti mai da uno che ha rischiato la vita a causa della giustizia. Ma è proprio vero, mai fidarsi delle apparenze.
Due storie diverse s’incontrano, per un tratto procedono normalmente, poi si dividono, scontrandosi.
La prima storia riguarda una persona che, secondo i magistrati, “rischia davvero la vita per quello che ha fatto come collaboratore di giustizia”, “sì, quell’uomo rischia la vita al pari della sua famiglia”, conferma il suo avvocato. È per questo che nessuno fa il suo nome, si sa solo che dieci anni fa dalla Calabria arrivò a Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, con un programma di protezione che prevedeva una casa, 1600 euro al mese come indennità speciale di disoccupazione, più quindicimila euro perché potesse aprire una bottega da artigiano e lavorare.
Qualche tempo dopo, lo raggiunsero la moglie e altri parenti. In Calabria, dopo aver fatto arrestare una gang mafiosa, per lui l’aria era diventata irrespirabile, era un soggetto a rischio, per cui, prima di parlare, e anche dopo, viene protetto con il programma a cui abbiamo accennato.
Ovviamente a Borgo San Dolmezzo la sua identità non è nota, né la sua storia, per cui, dopo un breve periodo di adattamento, inizia una nuova vita, con nuove conoscenze e nuove amicizie, attento a non andare troppo in là con le confidenze, per evitare di essere scoperto. Una vita condotta all’insegna della discrezione e della tranquillità.
L’altra storia è quella di un cittadino italiano nato in Argentina e poi rientrato nella sua terra d’origine. Nemmeno il suo nome è noto, per evitare che da lui si risalga al pentito di mafia.
Si sa solo che di professione fa il pizzaiolo e che ha aperto un locale nella cittadina dove si è trasferito.
Le due storie s’incontrano, come quelle di tanti altri. I due si conoscono perché vivono nella stessa zona, si parlano, si vedono, anche se senza particolari frequentazioni; insomma, un po’ alla volta diventano amici, come è capitato e capita a ciascuno di noi.
La vita va avanti senza problemi, ma il pizzaiolo ha bisogno di aiuto nella sua attività, per cercare di ingranare, per rinnovare il locale, per seguire le sue idee. E a chi rivolgersi in caso di necessità? Al suo amico, in effetti. Lo dice anche il proverbio: chi trova un amico, trova un tesoro. Il nostro pizzaiolo, per la verità, ha qualche timidezza, ma l’amico, che lo vede in difficoltà, si offre di aiutarlo. Suvvia, gli dice, siamo amici, no?, di quanto hai bisogno? Il pizzaiolo pensa davvero che ha trovato un grande amico e così è, ma solo per breve tempo. Dopo i primi prestiti, sempre restituiti, al pizzaiolo viene chiesto un piccolo interesse, una sciocchezza, ma la sciocchezza diventa man mano una pratica che con l’amicizia non ha molto a che spartire.
Le cronache raccontano che duemila euro in quindici giorni diventano 2600; poi otto mila euro in cinque mesi diventano 14 mila; ancora 5 mila euro, questa volta in quindici giorni, diventano undicimila. Il gioco si fa pesante.
È vero che questi prestiti non sono a distanza ravvicinata, passano dei mesi tra uno e un altro, ma ugualmente la situazione comincia a diventare pesante.
Per farla breve, il nostro pizzaiolo ha bisogno di 25 mila euro e l’amico glieli offre, ma diventano centomila. Il nostro pizzaiolo più che un amico ha trovato uno strozzino. Lui non sa, però, che ha a che fare con un collaboratore di giustizia, un pentito, sotto protezione della polizia e della magistratura; l’altro, invece, approfitta della protezione per fare gli affari sporchi che al tempo, evidentemente, aveva denunciato solo perché non aveva alcun tornaconto.
Beh, come continua la storia, lo si può immaginare. Il pizzaiolo si avvita in un vortice da cui non riesce ad uscire, per cui diventa nervoso, intrattabile, fino a quando qualcuno in famiglia lo mette alle strette costringendolo a parlare.
Un parente racconta tutto al parroco, il quale fa quel che può per pagargli la rata. La famiglia chiede l’aiuto del fondo antiusura e l’ottiene, ma con l’aiuto scatta anche l’indagine della squadra mobile.
Intanto, l’amico strozzino lo minaccia se non gli restituisce quello che gli ha chiesto, le minacce verbali diventano perentorie, sono ingiunzioni ricattatorie, o i soldi o la morte di qualche membro di famiglia. Tutte parole e toni che vengono registrate dagli inquirenti che, ad un certo punto, avute le prove inconfutabili dell’usura, lo fanno arrestare insieme ad un complice. Al processo il pentito arriva sotto scorta e col volto coperto, perché, è questo il ritornello dei magistrati, “l’uomo rischia davvero la pelle per quello che ha fatto”, per i servigi resi alla giustizia.
Intanto, però, oltre che pentito e collaboratore di giustizia era anche uno strozzino, e per questo è stato condannato ad otto anni. L’identità rimarrà coperta dal segreto, ma dovrà comunque scontare la pena per estorsione ed usura. Vatti a fidare di un amico.