Non ne avremmo parlato se la notizia non fosse uscita sul Corriere della Sera e non fosse stata suffragata da dichiarazioni e prese di posizione. La notizia è che prima o poi, nell’arco di un paio di anni al massimo, ci sarà l’attacco israeliano contro l’Iran, ovvero contro i siti atomici dell’Iran. Sarà un attacco che partirà non da Israele soltanto, ma da un’azione congiunta tra Israele e Usa con il sostegno dell’Inghilterra. Come mai quest’operazione è diventata attuale? La risposta l’abbiamo data nelle scorse settimane: l’Aiea, l’Agenzia Onu per l’energia atomica, senza la guida di El Baradei, egiziano, ha accertato gravi violazioni in merito agli scopi civili dell’impiego dell’atomo in Iran. In sostanza, l’Iran starebbe ad un passo dalla costruzione della bomba atomica, all’incirca un paio di anni al massimo, entro la fine del 2013. Lo provano gli usi delle nuove centrifughe impiegate per l’arricchimento dell’uranio, adatte appunto alla trasformazione dell’atomo da energia civile a energia militare. L’Iran che si dota della bomba atomica fa paura, perché l’obiettivo dichiarato e conclamato del presidente Mahamud Ahmadinedjad è quello di “cancellare Israele dalla faccia della terra”. Siccome l’Aiea, sotto la guida di El Baradei, ha sostanzialmente esercitato un’azione debole nel far rispettare le norme internazionali, e nei mesi scorsi l’attenzione internazionale era indirizzata alla “primavera araba”, l’Iran ha potuto lavorare in pace alla costruzione dell’arma, al punto che la bomba potrebbe essere pronta alla fine del 2013, se non addirittura fra sei mesi. La notizia dell’attacco è stata suffragata da testimonianze e dichiarazioni. C’è innanzitutto quella di una fonte militare inglese che ha confermato al Guardian l’informazione. Il piano sarebbe preparato dal Pentagono, ma l’Inghilterra avrebbe garantito sottomarini e Tomahawk, senza escludere “forze speciali” sul terreno. Recentemente, poi, c’è stata la domanda retorica di un giornalista israeliano sulla decisioni di Netanyahu e di Barack (rispettivamente premier e ministro della Difesa). A questa domanda è seguita una dichiarazione generica del ministro della Difesa che ha detto: “Non possiamo escludere opzioni e non vogliamo nascondere le nostre intenzioni. Ma certe cose non possono essere discusse sotto i riflettori”. A diradare ogni dubbio, in ogni caso, una dichiarazione, ufficiale e autorevole, di Shimon Peres: “Siamo sempre più vicini ad usare l’opzione militare che a trovare una soluzione diplomatica alle minacce”. Il piano, dunque, esiste ed è preparato nei dettagli, al punto che la settimana scorsa gli israeliani hanno testato un nuovo missile a lunga gittata e in Sardegna la base Nato ha simulato un attacco a distanza. Manca solo l’ok. Al punto in cui sono le cose, il dubbio non riguarda la notizia dell’attacco, ma solo “quando” esso avverrà. Ci sono quelli che in caso di attacco temono migliaia di missili su Israele provenienti da Hamas, da Hezbollah, dalla Siria, per cui dicono: perché non aspettiamo che la “primavera araba” investa anche l’Iran? L’Iran, d’altra parte, ha fatto sapere: “Un attacco sionista verrà pagato a caro prezzo”. L’altro dubbio riguarda Obama, che teme di portare l’America in guerra proprio durante la campagna elettorale. Ci sono, però, altri che dicono: se aspettiamo, sarà troppo tardi, perché l’Iran non si farà scrupoli. Non è possibile sciogliere il dubbio sul “quando”, ma d’altra parte ci si domanda: perché l’esistenza di questo piano è stata fatta trapelare? Si vuole dissuadere l’Iran dal continuare con i suoi obiettivi militari o si vuole precostituire un alibi? Se ciò è vero, come è vero, tra crisi economica e venti di guerra si rischia di vivere il 2012 come un incubo. [email protected]