Giorgio Napolitano, in un incontro al Quirinale con una delegazione della Federazione Chiese Evangeliche, parlando di immigrati, ha detto: “Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione”. Non sappiamo se davvero i bambini immigrati aspirino alla cittadinanza italiana. Ne dubitiamo. Semmai questa è l’aspirazione dei giovani adulti, soprattutto per motivi pratici. I bambini, in genere, vogliono e fanno quello che dicono i genitori. Nel caso dei musulmani, a noi non risulta che la loro priorità sia la cittadinanza intesa come integrazione, con diritti e doveri, conoscenza della lingua e comune sentire, al di là della diversità di opinioni, ovviamente. Se il presidente Napolitano ha inteso sollevare un tema che va inquadrato meglio dal punto di vista giuridico e politico, ha fatto bene; se, invece, la sua intenzione è quella di concedere tout court la cittadinanza solo perché si nasce su territorio italiano, allora è un’opinione rispettabile come tutte le altre, ma resta un’opinione. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, per distinguersi dalla sua ex maggioranza di una volta (Pdl e Lega) e per creare un contrasto tra di loro, sventolava la cittadinanza agli immigrati come una necessità, ma ora che non ha più l’esigenza di distinguersi, ha dichiarato i suoi “dubbi sul fatto che nascere su un territorio (è la cittadinanza per “jus soli”, cioè per diritto di nascita, ndr) comporti automaticamente la cittadinanza”. La cittadinanza per “jus soli” esiste negli Usa, in Canada e in Australia, ma quelli sono Paesi immensi dove la cittadinanza è concessa da una normativa che la pubblica amministrazione segue e controlla, mentre in Italia, dove la magistratura annulla un provvedimento di espulsione di un clandestino solo perché – è scritto nella sentenza – questi è povero e non ha i mezzi per ritornare in patria (conseguenza: basta dichiararsi poveri per annullare qualsiasi provvedimento e rimanere in Italia sempre da clandestino), si rischierebbe di lanciare questo messaggio: venite a partorire in Italia così i vostri figli – e voi – diventerete cittadini italiani. È un’esagerazione, ma quando si è lasciato capire che le porte dell’Italia erano aperte, c’è stato un flusso continuo di gente che entrava senza permesso. Dunque, la cittadinanza non è e non può essere lo spauracchio paventato dalla Lega, ma nemmeno una carta che si distribuisce a tutti. Deve essere concessa come diritto a chi prima di tutto la chiede consapevolmente (non per interposta persona), poi a chi mostra di accettare le nostre leggi e di conoscere la nostra lingua, e infine a chi si sente parte in senso generale della comunità. È evidente che questo percorso esclude di per sé lo jus soli (salvo i casi già previsti dalla legge) ma anche inutili scorciatoie per i minori. Per gli adulti, si può abbreviare il periodo ora previsto dalla legge – dieci anni – ma non svuotarlo dei contenuti suddetti. Per i bambini, d’altra parte, la legge già prevede la cittadinanza al momento del raggiungimento della maggiore età, su richiesta. La cittadinanza è un fatto di serietà per chi la riceve ma anche per chi la concede, in quanto lo Stato che la concede è tenuto, specie al momento dell’età pensionabile, a non abbandonare il proprio cittadino in difficoltà, che, con i tempi che corrono, non è un problema finanziario da poco. redazione @lapagina.ch