“L’Iran non vuole la bomba atomica”, dice il presidente iraniano ma solo il nucleare civile per l’elettricità delle nostre case. “Solo falsità”, ribatte il premier israeliano
A Ginevra si sta giocando la partita Siria, con una serie di guerre di posizione tra governo e opposizioni, che non si riconoscono a vicenda e che hanno comunque distanze difficilmente colmabili. Una per tutte: il regime di Assad pensa di avere legittimità a governare e punta sulla continuità, mentre le opposizioni, in forte contrasto tra di loro, non lo riconoscono come interlocutore. Finora le armi chimiche sono state neutralizzate, il regime ha mantenuto la parola rivelando luoghi di depositi e quantitativi, ma la fase due, cioè il futuro della Siria, diventa oggetto di trattativa infinita.
Mentre a Ginevra si parla di Siria, in un’altra località della Svizzera, Davos, va in scena un altro duello, anch’esso a parole, ma che sa di già visto, rappresentato dal presidente iraniano Hassan Rouhani, da pochi mesi balzato sulla scena nazionale e internazionale, e da un vecchio protagonista della politica del Medio Oriente, l’israeliano Benjamin Netanyahu. Al Forum economico i due si sono sfidati a distanza, esprimendo ciascuno le proprie tesi, che sono in contrapposizione le une con le altre, riproducendo un conflitto più che decennale storico.
Rouhani è l’uomo nuovo dell’Iran, colui che ha usato un linguaggio mai prima usato, fatto di moderazione e di dialogo, non si sa quanto vero e sincero e quanto, invece, imposto dalla dura realtà delle sanzioni internazionali. Con il suo avvento sulla scena politica iraniana c’è stato un avvio di dialogo con gli Usa, ma le sue aperture non sono ritenute tali da tutti, certo non dall’eterno rivale, Israele. La trattativa internazionale, anch’essa avvenuta a Ginevra in ottobre, ha portato al congelamento temporaneo dell’arricchimento dell’uranio ma questa offerta aveva una contropartita: l’allentamento delle sanzioni. La partita del nucleare, però, resta aperta, giocata sull’equivoco nucleare a scopo civile o a scopo militare. Israele, si sa, al nucleare civile iraniano non crede, e ogni occasione è buona per ribadirlo davanti ad una platea di persone che contano.
A Davos, dunque, Rouhani ha rispolverato le sue parole d’ordine: “dialogo”, “pace” , “moderazione”. La distanza tra lui e il suo predecessore Mahmud Ahmadinedjad è siderale, tanto crudo e maniche quest’ultimo, tanto conciliante l’altro. Il presidente iraniano ha offerto rapporti commerciali con tutti, trovando una platea di banchieri e petrolieri con le orecchie tese. Il discorso di Rouhani non poteva lasciare da parte il nucleare. Ha detto: “Siamo una grande nazione pacifica e il nucleare ci serve per l’elettricità delle nostre case, per migliorare i nostri ospedali”. Rivolto agli Usa, Rouhani ha detto: “Devono prenderci sul serio non solo a parole”, alludendo alle sanzioni che vanno eliminate, non allentate. La politica iraniana si snoda lungo la lama del dialogo e degl’interessi economico-commerciali del suo Paese.
Ma, dicevamo, l’altro protagonista, Benjamin Netanyahu, gli ha fatto il controcanto, parafrasando i vari punti del discorso del rivale ma in negativo.. Ha detto: “Oggi avete sentito parole dolci da Rouhani, ma false. Altro che uso pacifico del nucleare, abbiamo le prove che Teheran voglia montare testate nucleari sui missili balistici puntati verso di noi. Vuole la pace in Siria? Ma se l’Iran sta invadendo la Siria, di che stiamo parlando? E’ un Paese che alimenta il terrorismo. Metà della popolazione palestinese è controllata da Hezbollah, organizzazione che va alla guerra in Siria fomentata da Teheran”. Israele non vede nessun cambiamento reale nei suoi confronti da parte dei capi dell’Iran, solo una diversità di linguaggio, ma con la diversità del linguaggio non si fanno passi in avanti.
Il gioco delle parti è rispettato, cambiano i protagonisti ma le distanze non vengono colmate. Il Medio Oriente si aggroviglia attorno alle parole ma non ci sono veri progressi, specialmente quando i soggetti dicono una cosa e ne pensano un’altra e ne fanno un’altra ancora, accrescendo incrostazioni e pregiudizi sempre più difficili da rimuovere.