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21 November 2024
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Il fattore P

Aiuto, la mia vita è in mano ad una sostanza!

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Ben trovati carissimi lettori! Il tema che vado a trattare è molto delicato, per alcuni risulterà interessante, in altri magari attiverà della rabbia: quando parliamo delle dipendenze da droghe, i vissuti che si provano sono molto diversi e tutti molto intensi.
Quando studiai la dipendenza da sostanze durante l’Università pensai subito che si trattasse di una patologia tosta, ove la persona diviene il carnefice di se stessa, ficcandosi in una situazione che porta assai più svantaggi che vantaggi, perpetuandola senza saperne uscire. Quando la tua intera vita ruota attorno ad una sostanza e fai qualsiasi cosa per poterla ottenere, tradendo la fiducia di chi ti ama, scendendo davvero “a patti col diavolo”, è infatti lecito domandarsi: sto perdendo tutto per qualcosa che appena metabolizzato dal mio organismo perde tutta la sua magia?
Arrivata al tirocinio, la scelta quindi di dedicarmi alla tossicodipendenza, con cui poi ho continuato a lavorare dopo la laurea, si presentava davvero come una sfida e presto mi resi conto che fare esperienza diretta di una persona dipendente non è certo la stessa cosa che leggerne la identikit su di un libro. Accaddero due cose quando iniziai a fare l’operatrice in comunità: la prima fu una conferma della tragedia insita a chi cade nel tunnel delle sostanze, si trattava infatti di persone sole, che avevano perso tutto e che nonostante le consapevolezze e la volontà di cambiare, ancora non vi erano riusciti e usavano grandemente le loro abilità manipolatorie per raggirare la mia autorità; la seconda fu sempre una conferma ma del fatto di essere “tagliata” per quello che faccio, poichè nessuna e dico nessuna delle persone incontrate in quella comunità non ha suscitato in me empatia e voglia di aiutarla, in ognuno ho visto potrei dire una luce, una speranza, e ho avuto fiducia nel fatto che le cose potessero andare meglio, e questo credetemi ha fatto la differenza per molti di loro.
Alle domande relative a come avessero iniziato c’erano alcuni ritornelli: nella gran parte dei casi l’inizio è stato pressochè superficiale, giustificato dal solo fatto di voler provare l’effetto di uno stupefacente… il punto è che questo test è piaciuto a molti di loro e si è poi tramutato in dipendenza grazie al potere analgesico della droga, che aumentando la dopamina (il neurotrasmettitore della felicità) ci illude per un po’ di tempo che il mondo sia più bello di quello che abbiamo lasciato prima di drogarci. Ecco dunque che il mio monito è proprio quello di non provare neanche una volta la sostanza, perchè questa è fatta apposta per piacerci, invitandoci ad utilizzarla più volte. Dunque nella maggior parte dei casi la droga veniva usata perchè piaceva, e permetteva di sganciarsi da una realtà troppo dolorosa per essere affrontata, e posso giurare che l’anamnesi di molti pazienti era così tremenda e racchiudeva episodi così dolorosi che forse sì, mi hanno anche portato a giustificare queste anime fragili.
Ecco quindi che l’uso delle sostanze, dalla più leggera alla più pesante, dall’uso più sporadico a quello più massiccio, sono indici indiscussi di un malessere, di un disagio che non si vuole affrontare, di una realtà che ci ha deluso e che non ci basta per essere felici. Spero grazie al mio lavoro di aiutare le persone a trovare modi meno tossici di affrontare le vicissitudini che la vita, alle volte in modo anche molto duro, ci pone di fronte.

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